6 LIBRI DI EDUARD LIMONOV

Un sito web completo dedicato a Eduard Limonov. Si aggiorna il libro di Emmanuel Carrère, con foto e video eccezionali, e nuove informazioni. 2018  

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MAGGIO 2018  
CULTURA                     22/07/2018

Limonov e la Russia scapestrata

Intervista. Un incontro con Eduard Limonov, in occasione del suo ultimo libro «Zona Industriale», uscito per Sandro Teti editore. Un romanzo autobiografico che narra anche le trasformazioni urbane indotte dalla gentrificazione

Eduard Limonov

Eduard Limonov è da tempo rientrato in Russia, dopo il lungo tour italiano per la promozione dell’ultima sua fatica letteraria:  "Zona Industriale" (Sandro Teti editore, pp. 230, euro 16).

Si affacciava in occidente dopo vent’anni di assenza, anche se nel 2014 aveva fatto parlare di sé, ancora una volta, grazie a Emmanuel Carrère e al suo romanzo uscito per Adelphi. Del resto, il personaggio – nella doppia veste di se stesso e quel che interpreta – ha sempre attirato molta curiosità.

Giovane dissidente nell’Urss di Breznev, Limonov, emigrò negli Stati Uniti nel 1974 e qui ha dato alle stampe il suo primo romanzo Ja Edicka (uscito in Italia presso Frassinelli con il titolo Il poeta russo preferisce i grandi negri), frequentando la sede del trotskista Socialist Workers’ Party.


Negli anni Ottanta si è trasferito a Parigi e dopo aver collaborato con l’Humanité si è spostato su posizioni politiche «rosso-brune».

Nel 1992 è rientrato in Russia ma subito è andato nella ex-Jugoslavia per combattere a fianco delle milizie serbe. Tornato nel suo paese, ha fondato il Partito nazionalboscevico che si è contraddistinto per vitalismo, culto dell’azione esemplare, estetismo punk.

Arrestato dalla polizia russa dopo aver tentato di costituire una comunità armata nell’Altaj, ha scontato due anni di prigione. Autore prolifico, è stato legato sentimentalmente alla nota attrice russa Ekaterina Volkova da cui ha avuto due figli.

- «Zona Industriale» è stato pubblicato in Russia nel 2012 quando il potere di Putin era stato messo in discussione dal movimento anti brogli «Bol’ontnij». Come vede Putin oggi, dopo diciassette anni di potere?


- Il problema della durata del potere putiniano per me non esiste. Non è detto che ci debba essere un’alternanza, né quanto un presidente debba rimanere al potere. Il leader deve essere prima di tutto un uomo efficace. A mio parere, per quanto possa essere paradossale, invece Putin è un governante debole e incerto. Lascerà alla prossima generazione molti problemi irrisolti, per esempio, un’Ucraina incattivita al nostro confine occidentale, oltre a un regime di capitalismo oligarchico.

Sono per l’uguaglianza e per rimettere in discussione tutte le privatizzazioni realizzate. Oggi la Russia è il paese con uno dei tassi più alti di diseguaglianza sociale. Non ho sostenuto il movimento di Bol’otnij perché è stato tradito da chi lo guidava. In particolare, l’11 dicembre 2011 il corteo fu spinto lontano da Piazza della Rivoluzione, quando eravamo a solo duecento/trecento metri dai centri del potere.

- I personaggi femminili nei suoi romanzi autobiografici sono sempre brillanti, ricchi, interessanti. In «Zona Industriale» ne incontriamo ben tre, tra cui Ekaterina Volkova. Ci può illustrare come evolve il suo rapporto con quell’universo a parte?

- Le donne di cui racconto sono semplicemente quelle in cui mi sono imbattuto. E le ho scelte. Si tratta di individualità difficili che vengono scelte raramente. Ma io l’ho fatto. Il mio non è certo un libro incentrato su Ekaterina Volkova. In realtà, affronta la mia insoddisfazione nelle relazioni con le donne.

Nel romanzo, il protagonista cerca la sua compagna. E alla fine resta solo. Io vivo da solo e non m’interesso né della vita della mia ex moglie né di quella dei miei figli. Ai militanti nazionalbolscevichi dico: «I tuoi figli saranno peggio di te!». Vorrei però sfatare il mito che scriva solo romanzi autobiografici: nella mia produzione ce ne sono anche di altro genere.

- Il libro prende in esame anche i processi di gentrificazione del centro di Mosca. È una narrazione che mette al suo centro il rimodellamento del tessuto urbano e l’espulsione della sua cittadinanza operaia…

- In tutta Europa, fino a non molto tempo fa, i figli dei ceti popolari e di quelli benestanti crescevano a contatto tra loro e in zone adiacenti. Imparavano a conoscersi e a confrontarsi, seppur in modo conflittuale. Ora vivono in mondi sempre più separati e lontani. Credo sia questo l’elemento più desolante della gentrificazione.

- Ci sono alcuni scrittori russi che più l’hanno ispirata rispetto ad altri?


- Si tratta di tre autori che non rientrano nella tradizione del mio pensiero. Mi hanno spesso influenzato il grande Gogol, il poeta futurista Velimir Khlebnikov e il filosofo Konstantin Leontiev.

- Nelle sue ultime dichiarazioni ha sostenuto che lei oggi è più interessato al pensiero di Malthus che a quelli di Evola, Nietzsche e Marx che pure l’hanno influenzata nella sua vita. Ce ne può spiegare i motivi?

- Credo che Malthus sia diventato molto attuale. Ha sostenuto che l’umanità è sempre più minacciata dalla mancanza di risorse. Mentre Nietzsche, Evola e Marx hanno costruito i loro sistemi sulla preferenza di alcuni modelli di organizzazione delle società umane. Si sono concentrati su gruppi umani e classi sociali omogenei. Marx non prevedeva, e non poteva forse farlo, la scarsità di acqua potabile sul pianeta. Marx e Evola hanno immaginato con lungimiranza e enfasi la lotta tra comunità umane, ma oggi vediamo che è assai più importante il confronto tra l’individuo nel suo complesso e il pianeta che abita.

                                             SCHEDA

Mosca anni, primi anni 2000. Lo sfondo è l’ex quartiere operaio Syry in via di gentifricazione ma di notte ancora popolato da branchi di cani randagi e da prostitute attempate. Il palcoscenico, due stanze modeste collegate da un corridoio ricoperto da un triste linoleum a fiori in cui abita il protagonista. In questo spazio inerte, da pièce teatrale, si ambienta gran parte di Zona Industriale il romanzo autobiografico di Eduard Limonov.

Poi ci sono tre donne, tre sue amanti, diversissime tra loro: una giovinetta militante del Partito nazionalbolscevico già appesanta dai chili di troppo, una moglie attrice di successo che fuma erba e vuole diventar mamma e Lola, una spogliarellista di San Pietroburgo quasi diafana malgrado le conturbanti curve e i lineamenti volgari.

E nel malconcio universo limonoviano trova posto anche Krys, un topo bianco, l’unico coinquilino con cui lo scrittore riesce a costruire un rapporto non conflittuale.

Donne e politica. Politica di strada tra i movimenti antiputiniani dell’epoca dove si incrociano il tardo-staliniano Gennady Zjuganov e l’ex campione mondiale di scacchi Garri Kasparov. Nella perfetta triangolazione dell’universo maschile più sciovinista oltre a donne e politica mancherebbero solo i motori, che invece non mancano.

Come in un fumetto postmoderno eccoli qui gli inseguimenti in placidi pomeriggi domenicali moscoviti tra berline «Volga» della polizia e scassate «Zyguli», 124 Fiat costruite a Togliattigrad, delle milizie nazionalbolsceviche.

Ritornano ancora in questo romanzo reminiscenze di altri momenti della vita e rimandi ad altre storie di Limonov, come in quelle saghe in cui il lettore trova modo di potersi affezionare a situazioni già conosciute: la gioventù scapestrata nella Kharkov proletaria del secondo dopoguerra, la vita bohemien nella Parigi degli anni ’80, il cielo di ferro dei giorni dell’insurrezione anti-eltsiniana del 1993, punteggiano una narrazione che resta sospesa tra prosaica quotidianità e Storia.
Romanzo punk, tagliente e comico e in alcuni passaggi melanconico, Zona Industriale è «tutto il Limonov che conta».

Sicuramente una delle sue migliori performance degli ultimi anni, nel quadro di una produzione sin troppo abbondante (settantadue libri in carriera con una media di quattro titoli negli ultimi anni anni). Limonov ha la capacità non scontata di saper rappresentare la caducità del presente in un modo in cui neppure la biografia di Carrère è riuscita a trasmettere completamente.

Per chi ancora non lo conoscesse, Zona Industriale è un ottimo vademecum per avvicinarsi alla sua opera.

                                                                          Yurii Colombo 

                   IL MANIFESTO   -    22/07/2018

Il Corriere della Sera - La Lettura - 6 maggio 2018

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Che si tratti di personalità indubbiamente affascinante, lo dimostra quel gran furbo del romanziere francese Emmanuel Carrère, il quale ne ha scritto una biografia romanzata, sbancando l’hit parade libraria non solo francese, qualche anno fa; noi abbiamo preferito leggere, di lui, dalla sua stessa viva penna: dal libro – autobiografico fino all’impudenza – “Zona industriale” (uscito ad aprile per Sandro Teti editore), esce infatti un ritratto della complessità del personaggio Eduard Limonov.

In primo luogo, era forse dai tempi del Vate D’Annunzio che, in campo europeo (la Russia è Europa?), non si trovava un intellettuale (poeta, scrittore, libero pensatore), capace di creare un movimento politico che – discutibile se non inquietante – è comunque capace di smuovere passioni politiche autentiche: il suo Partito Nazional-bolscevico (apparente ossimoro politologico, stante l’internazionalismo che dovrebbe contraddistinguere la forma mentis bolscevica), così radicale, è – soprattutto è stato – un pungolo verso lo strapotere putiniano, e Limonov un paio di anni di galera post-sovietica se l’è fatta (oltre ad andare a combattere con i serbo-bosniaci, ai tempi della Guerra della ex-Jugoslavia, in nome della solidarietà panslava).

Ciò che colpisce nel libro, scritto appena uscito dalla galera nel 2004, è poi la sincerità, la genuinità dell’opera: ci saranno le umanissime omissioni del caso, ma Limonov non nasconde i suoi insuccessi, le sue fragilità, financo le sue meschinerie.

Anche in un campo che è in larghissima parte quello sessual-sentimentale; e qui, si arriva al maledettismo di Limonov, declinato con tratti alla Bukowski: l’infatuazione del sessantenne, appena uscito di galera, per le giovani ragazze di provincia, ma al contempo il dolore per il rapporto, difficile e tormentato, con l’attuale compagna, madre dei due figli, verso la quale l’uomo non nasconde la gelosia.

Insomma, un libro davvero particolare (un “romanzo moderno”, secondo l’autore), per una vita certo non banale: contestabilissima – sia chiaro -, ma indubbiamente foriera di fascinazione. Non si era partiti paragonando Limonov ad un D’Annunzio slavo, forse?

                                                                      Eretico di Siena

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http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/siamo-tutti-topi-gabbia-parola-dissidente-limonov-1524100.html

 

Siamo tutti topi in gabbia: parola del dissidente Limonov

 

Nell'autobiografia, ZONA INDUSTRIALE, lo scrittore russo racconta di Krys, la sua (ex) cavia che gli ricorda i compagni di cella: eccone un estratto, pubblicato per gentil concessione dell'editore Sandro Teti  

Che ci crediate o meno, Krys aveva lo stesso odore del bucato appena tirato fuori dalla lavatrice e non strizzato a sufficienza. Come era possibile che sapesse di detersivo in polvere? Un topo dovrebbe puzzare di cantina o, nella migliore delle ipotesi, avere l'odore del suo habitat, la gabbia. 

Alla fine trovai una spiegazione plausibile: a Krys piaceva il sapone, e ogni volta che io mi distraevo, all'improvviso, il detersivo non si trovava più. Sapeva di sapone perché se lo mangiava! Non lo trascinava nella gabbia come avrebbe fatto uno stupido topo qualsiasi, lo nascondeva nell'appartamento, spesso sotto la rigida branda che si trovava nel mio studio.

Più volte, l'avevo visto uscire rapido da lì sotto, ma non avevo sospettato nulla perché aveva sempre un'aria innocente. Quello che sembrava un sorriso indolente e cinico sembrava dirmi: «Sono un animale, me ne vado in giro per casa e ne ho tutto il diritto, perciò lasciami in pace!».

Più avanti, trovai sotto il letto brandelli di sapone con incisi sopra i delicati solchi dei suoi denti. Krys non era quel tipo di topo che divora con avidità il sapone, mi sembrava che lo gustasse soavemente, proprio come i sommelier che si riempiono la bocca affinché il vino raggiunga tutti i ricettori del gusto. Ah! Ah! avrà pensato Krys tra sé assaporando il gusto della vita. (...)

 

Inizialmente il pelo di Krys era bianco, ma con il tempo gradualmente ingiallì. La mia amica-topo, ahimé, invecchiò molto rapidamente. Quando arrivò a casa mia, aveva poco più di due anni, e purtroppo i topi ne vivono al massimo tre o quattro, non di più. Veniva da una famiglia di cavie da laboratorio, ecco perché aveva il pelo bianco, e gli occhi di un rosso acceso, come d'altronde tutti i topi albini. Al buio e quando li colpiva il flash di una macchina fotografica sembravano ardere di un fuoco diabolico.

Caratterialmente, Krys era invece un angelo con la coda. La coda, che molti ritengono ripugnante, in realtà non è altro che un normale e utile organo del corpo di un topo, come lo sono per gli uomini mani e piedi. Una volta, dopo essersi voltata verso di me con sguardo malandrino, si era prodotta in un volo acrobatico: stava curiosando sul tavolo della cucina, aveva fatto rotolare un uovo sotto il muso e, dopo averlo afferrato con le zampe anteriori, in un baleno si era capovolta sulla schiena. Dopo essersi agitata a lungo sul bordo del tavolo, all'improvviso cadde sul pavimento. Proprio la coda attenuò il volo, l'uovo non si ruppe (!) e lei, trionfante, lo trascinò fino all'ingresso della gabbia. Proprio così! E, orgogliosa della sua prodezza, si girò verso di me, e io la applaudii. Quando correvamo verso la stanza più grande dell'appartamento, io davanti e lei dietro, teneva la coda parallela al pavimento, sollevata di quanto le permettesse la sua minuta statura. Era buffa. Mi imitava. Faceva le curve che facevo io.

 

Quel comportamento mi fece tornare in mente i compagni di cella del terzo braccio del carcere di Saratov. Durante l'ora d'aria, in quegli ampi cortili che rimarranno così anche per le future generazioni di carcerati, appena arrivato, facevo jogging lungo il perimetro delle mura. Col tempo, si unirono a me i giovani compagni della mia cella e a volte, miracolosamente, persino Igor', il detenuto responsabile di quel braccio di carcere. Guardando indietro, li rivedevo ansimare, e le loro vecchie ciabatte ricalcare con affanno i miei passi. (...)

 

Krys è morta un anno dopo mio padre, e tre anni prima di mia madre. (...) Morì di notte. E io non mi accorsi di nulla. Al mattino, trovai il suo corpo allungato, già freddo, in un angolo della gabbia. Era il 10 marzo 2005. Quel giorno non trovai il tempo per seppellirla poiché avevo un appuntamento di lavoro.

Rientrato a casa, presi una scatola argentata, ci misi dell'ovatta, deposi all'interno la mia amica Krys mettendole l'ovatta sotto la testa, come se fosse un cuscino, poi tagliai una vecchia ghirlanda che usavo per addobbare l'albero di Natale e gliela misi intorno ai fianchi. Finalmente chiusi la scatola. Avrei voluto riporla nel frigorifero, ma poi pensai che avrei offeso la sua dignità. Fuori il freddo era pungente, eravamo a 15 sotto zero, perciò aprii la decrepita finestra della cucina e appoggiai la scatola sul davanzale. Rimase lì per due giorni poiché io e le mie guardie del corpo eravamo presi da impegni del partito che non potevamo rimandare. La mattina del terzo giorno chiesi alle mie guardie di aiutarmi a seppellire Krys. Avevo pensato alla riva opposta della Jauza, una zona abbandonata. «Non possiamo certo gettare una creatura con cui ho vissuto così intensamente per quasi due anni in un cassonetto dell'immondizia!» dissi. Diedi loro un'accetta, una pala e - non so perché - anche un cacciavite...

                                      Eduard Limonov - ZONA INDUSTRIALE

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LIBRI DI LIMONOV CHE DOVREBBERO ESSERE RIPUBBLICATI 

 

LIMONOV, IL FALLITO CHE VOLLE FARSI VATE 24/09/04

Diario di un fallito,
di Eduard Limonov, a cura di Marina Sorina
Odradek Edizioni, pp. 176, 13 euro 

Mauro Martini

Venerdi' 24 Settembre 2004 

 

A me personalmente piace solo scrivere, ma neanche sempre. In generale preferisco non far nulla. Preferisco pensare. Ricordare le poesie. Prendere il sole. Mangiare la carne. Bere il vino. Fare l’amore oppure organizzare la rivoluzione. Scrivere, -magari qualche volta”.

Eduard Limonov non si è molto discostato nella sua turbolenza vita da questa dichiarazione programmatica che risale alla seconda metà degli anni Settanta e compare nel Diario di un fallito, testo letterario pubblicato nel 1982 e soltanto oggi approdato ad una irrinunciabile versione italiana, curata con passione e competenza da Marina Sorina.

 

Negli ultimi ventidue anni Limonov ha fatto di tutto. L’intellettuale un po’ grassoccio e con gli occhialini tondi che scandalizzava gli ambienti dell’emigrazione russo-sovietica, raccontando in una prosa densa e aperta ad ogni contaminazione le miserie esistenziali dei loro protagonisti, non esiste più da tempo.

 

Oggi lo scrittore ha appena passato la sessantina, ostenta un fisico asciutto e curato e di sicuro ricorda con simpatia le antiche polemiche che lo volevano tra Francia e Stati Uniti agente provocatore del Kgb. Bazzecole in confronto al monumento in cui Limonov è riuscito a trasformare la propria esistenza, quasi come un avanguardista del primo ‘900.

Non si è risparmiato nemmeno due anni di galera con l’accusa di aver organizzato un attentato terroristico, circostanza sempre negata, ma un po’ a malincuore, come se il suo Partito nazional-bolscevico, fondato ormai un decennio fa, non fosse naturalmente portato a limitarsi alle mere intemperanze verbali di un organo di stampa, “Limonka”, croce e delizia dell’intelligencija moscovita.

E d’altronde Limonov vanta, non si sa esattamente con quale fondamento, una partecipazione armata al fianco dei “fratelli” serbi durante la guerra di Bosnia.

 

Insomma, il vecchio Edichka, lo scrittore anticonformista che si scagliava contro coloro che egli considerava i bacchettoni dell’emigrazione ostentando una sessualità ingorda e onnicomprensiva, è riuscito a diventare quel che aveva sempre sognato, fin dal suo arrivo a Mosca nel 1966, proveniente dalla natia Char’kov, quando per far breccia nella cerchia progressista delle riviste del disgelo si prestava a cucire i pantaloni dei redattori snob e squattrinati delle testate più prestigiose.

 

Oggi Limonov è agli occhi delle generazioni più giovani un autentico mito, costruito non sulla condivisione di idee politiche spesso aberranti, ma sull’apprezzamento della capacità di coerenza estrema, della disponibilità a pagare di persona in una dimensione tutta estetica, ed estetizzante, dell’esistenza.

“Virtù” cui lo scrittore conferisce piena espressione letteraria in una nutrita serie di testi dati alle stampe negli ultimi anni. Volumi discontinui, tutti di natura autobiografica, tra i quali spiccano Il libro dei morti e Il libro dell’acqua.


Il Diario di un fallito è l’imprescindibile premessa a ciò che Limonov rappresenta oggi, il testo capitale sicuramente più decisivo di quel Sono io, Edichka, pubblicato nel 1980 e a suo tempo importato in Italia dalla traduzione francese con il titolo, suggestivo ma fuorviante, Il poeta russo preferisce i grandi negri.

Fu insulsa la scelta di ignorare l’originale russo per il semplice motivo che la grande novità dello scrittore consisteva nella sua capacità di inventare una lingua ben lontana da quella normatività che all’epoca ancora affliggeva una letteratura per cui molto contava il bello scrivere.

Non a caso Andrej Sinjavskij affrontò coraggiosamente la sfida di pubblicare le opere del giovane e controverso Limonov proprio nell’intento di valorizzarne l’originalità linguistica e immediatamente fu bersaglio delle polemiche di autorevoli esponenti dell’emigrazione che vedevano in quei lavori delle pure e semplici provocazioni.

 

Quanto quelle diatribe fossero inconsistenti lo dimostra la lettura odierna del Diario di un fallito: grazie alla competenza e alla sensibilità della traduttrice si riesce a cogliere a distanza di più di vent’anni la dirompenza di un lungo monologo in cui il “fallimento” denunciato nel titolo si traduce nel consapevole rifiuto di ogni limite.

Non c’è modo di fare esperienza del mondo circostante senza ricercarne gli aspetti estremi e ripugnanti, soprattutto nella sfera sessuale che rimane il luogo privilegiato della conoscenza a patto di non farsi condizionare dai canoni riconosciuti della bellezza.

 

D’altronde per Limonov non c’è modo di separare l’esperienza dalla violenza. Una violenza che da un lato è esasperata reazione al mondo occidentale che respinge il giovane emigrato sovietico, ma d’altro lato è l’unico strumento di cui si dispone per far sì che la sfera delle convenzioni non abbia il sopravvento.

E’ solo la primordiale violenza del desiderio fisico che consente di abbracciare una fresca vedova e di superare il lutto della recente scomparsa. E’ solo l’odio intenso per la civiltà che può assicurare la speranza di un cambiamento. In un delirio che approda al sogno di assassinare il presidente degli Stati Uniti e che ha come unico punto d’appoggio alla realtà una rigorosa coerenza linguistica. Con buona pace di tutti coloro che continuano a prendere per veri i proclami dell’aspirante Vate Eduard Limonov. 

                                                              Mauro Martini

 

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               IL PUNK BOLSCEVICO

Marco Belpoliti, L'Espresso - 25 marzo 2005  

 

Eduard Limonov è uno dei più incredibili scrittori russi contemporanei.  

Ha pubblicato più di 14 libri, tutti basati sulla sua vita. Nato nel 1943 in Ucraina, Limonov ha vagato a lungo per l’Europa e per l’America, fino a che, nel 1992, è tornato in patria, a Mosca, e ha fondato il Partito nazionalbolscevico, un miscuglio di sovietismo, punk, ribellismo, follie nazionalistiche, sogni artistici. 

Dal 2001 al 2003 è stato imprigionato con l’accusa di terrorismo e traffico d’armi. In carcere ha scritto ‘Libro dell’acqua’ che ha vinto in Russia il premio Andrej Belyi, uno dei più ambiti di quel paese. 

 

È un libro appassionante, ardimentoso, provocatorio, narcisistico, ma anche pervaso da una grande malinconia.
Qualsiasi cosa racconti – un rapporto sessuale a tre, l’incontro con militari sovietici, l’arrivo in una desolata cittadina asiatica, le proprie conferenze californiane, seduzioni, litigi, bevute – Limonov, ha scritto Mauro Martini, è sempre straordinariamente letterario; egli è il vero erede di Sinjavskij e di Venedikt Erofeev,
ovvero degli ultimi grandi scrittori dell’età sovietica, dissidenti e folli, spirituali e materialisti.

 

‘Libro dell’acqua’ è un’opera liquida, fondata sulla memoria di fiumi, stagni, laghi, fontane, piogge, una sorta di puzzle composto di tessere sparse e disposte a caso, che costringe il lettore ad andare avanti e indietro nel tempo per seguire i ricordi del narratore, le sue avventure, dagli anni Sessanta a oggi.  

 

Lo stile è apparentemente semplice, liscio e scorrevole, in realtà la sua prosa è elaborata
e preziosa, costruita mediante piccoli colpi di martello, frasi secche e ficcanti, ironiche e scoscese, come se lavorasse a un gioiello tutto sbalzi e ornamenti. 

 

Lo si legge con passione e curiosità mentre si descrive come un pedofilo, oppure quando si dipinge come un amante della guerra, mentre è scopertamente sincero oppure cerca di occultare i propri sentimenti, quando descrive con entusiasmo i propri amori oppure ne esalta il fallimento.

                                  Marco Belpoliti, L'Espresso - 25/03/ 2005 

 

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                 LIBRO DELL'ACQUA 

di Eduard Limonov 

Recensione di Daniela Ranieri 

Il latte complicato che ricopre il mondo

Chi ha letto il libro di Emmanuel Carrére su Eduard Limonov sarà in grado di ricostruire la cronologia e la toponomastica di questa «strana opera, in cui si affacciano ricordi geografici e coincidenze fatali».

     Libro dell’acqua è una biografia di Limonov scritta da Limonov stesso durante la sua detenzione nel carcere-fortezza di Lefortovo (uno degli otto libri che scriverà in ventisette mesi): scritta, però, non liricamente, sull’acqua, come il nome del poeta sepolto nell’elegante giardino el cimitero acattolico di Roma, ma intornoall’acqua, sui margini scivolosi degli appezzamenti acquei del totale 70% di cui è fatto il pianeta.

L’eccesso è per Limonov metodo e obiettivo: concentrazione bellica e dispendio erotico, negatività e incastro, sfondamento e sproporzione asimmetrica. Lo dice lui stesso nella Premessa: «lette le prime quaranta pagine del manoscritto, non vi ho trovato che guerra e donne. Mitra e sperma dentro i buchi delle femmine amate, ecco a cosa ammonta la mia ordinaria esistenza».

Come Pirgopolinice, il soldato fanfarone della commedia di Plauto, arrogante millantatore delle sue conquiste erotiche ma gabbato da schiavi e cortigiane, Limonov è costantemente immerso nel proprio orizzonte scenico, sempre al centro dei suoi pensieri che, ammette, la prigione concorre ad esasperare e a infiammare incontrollabilmente.

Giocando la parte della vittima d’amore stressa lo scandalo che pensa di suscitare nel lettore in un modo talmente sazio e indifferente che il lettore stesso non avverte lo scatto di quando dall’elogio del libertinismo nonostante l’infedeltà e la disonestà delle donne passa all’elogio della violenza («Lei voleva andarsene. L’ho picchiata.C’era il sangue perfino sulle tende. Perché così non si può») e della pedofilia.

Circondato, amato, deluso e tradito da «Bohémien, anarchici, alcolisti, omosessuali, lesbiche, spacciatori di droga, madri di famiglia e prostitute», Limonov ribadisce la sua idea di lotta di classe: «Ho notato che i popoli poveri si farebbero in quattro pur di vestirsi bene. Più un popolo è ricco, più se ne strafrega di com’è vestito».

Con le acque a fare da specchio al suo discorso tra lo sproloquio del folle e la logica del demiurgo, questo sfogo incessante si moltiplica e divide, come i pezzi di vetro di un caleidoscopio ad olio: l’acqua di cui parla Limonov non è la trasparente sostanza dell’attraversamento e della rifrazione, ma quella vischiosa e spessa dell’arresto e dello sprofondamento, grigia soluzione marina torbida non per condizione morale ma piuttosto per una vocazione amorale che la rende insensibile ai casi degli uomini tutti cioè, per Limonov, di sé stesso.

Stagno di Tjuren’ka, Mar Nero, Fiume Char’kov, Mar d’Azov, “Fontana a specchio”di Charkov, Bagno turco sulla via Maša Poryvaeva, Mar Nero, Danubio, Mar Mediterraneo, Tirreno (Ostia), Fontana di Trevi, Tevere, Oceano Atlantico, Fontana di Washington Square, Oceano Pacifico, Venice Beach, Tamigi…

L’istinto maniacale del fondatore del partito nazionalbolscevista(simbolo: falce e martello coi colori della svastica), odiatore seriale anche quando l’odiato è uno solo (Putin, il putinismo), nostalgico delnazionalsocialismo («Quando vai in treno dalla Francia all’Olanda smetti di provare qualunque ammirazione per le imprese dellaWehrmacht: è tutto così piccolo»), di Mussolini, di Stalin e delleBrigate Rosse, è accresciuto dal vortice ribollente della sua vita, come i boati delle cascate vicino alle grotte paurose dei miti, come il grido di un sacrificio nell’aerea sacra di Siracusa, nei pressi dell’orecchio di Dionisio il tiranno.

L’acqua è specchio e maleficio, e spettatrice indifferente e perciò complice dei suoi contro-tradimenti: «Ero stato io ad andarmene, per fiondarmi nei buchi neri delle guerre e delle rivoluzioni. Non potevo resistervi, tanta era l’attrazione, tale la seduzione. Io ero nato per le guerre e le rivoluzioni, ma non ce n’erano, e solo all’età di quarantotto anni mi sono lanciato a precipizio, con un sorriso di gioia, nel loro vortice ardente e di morte.

Nataša invece non aveva che il buco delle femmine. E il massimo che sapeva fare era concederne l’uso a destra e a manca». Le femmine, alcune episodiche, altre nervosamente amate per una sorta di riscatto o di giustizia, entrano e escono dall’acqua, e Limonov le guarda dalla spiaggia, in alto, mentre «i gas di scarico, l’asfalto bollente, i corpi incandescenti di molte migliaia di automobili si avvertono anche in basso, sulla riva del mare».

L’acqua non corre mai il rischio di essere alveo dell’incanto misterioso («il mare durante e dopo una tempesta odora come una botte di cetrioli») o materno, emanazione del femminile («E il Volga dondolava con il suo corpo grande e capiente di donnone acqueo flaccido, debordando contro la sua alcova fangosa»): è piuttosto sfida e prova, ambiente ruvido di iniziazione virile e coazione: «Io già nel 1972 avevo giurato di bagnarmi in tutte le acque che mi sarei trovato davanti».

Il talento puro, senza scuole, di Limonov, intesse una prosa a strattoni («Per fare il bagno era troppo freddo. Perciò mi sono tolto le scarpe, mi sono arrotolato i pantaloni fino alle ginocchia e così com’ero, con il mitra e la pistola alla cintola, con il cappotto militare dalla fodera staccabile sono entrato nell’Adriatico fino alle ginocchia,sposandomici alla maniera di un doge veneziano»), la cui grazia improvvisa produce una specie di piacere colpevole: ti trovi a godere della frase «L’acqua era fresca come latte appena munto», mentre lui medita il colpo di Stato violento o la rivolta risolutiva, insieme ai suoi inattuali compagni reclusi a Mosca in un sottoscala umido pieno di blatte e di poster di Stalin.

L’autobiografia conferma l’essere Limonov una creatura al di là del bene e del male comuni, sempre alla ricerca di una moralità inedita e personale: «Il caldo, putrido vento industriale del Mar Bianco odorava di acido solforico. Plaghe molli, vapori, macchie umide, alberi bassi senza foglie e steppose distese nere di erbe grigie, alte e marce. Mi ha assalito un desiderio di ascetismo profondo, di gelido, apostolico rigore morale».

Intanto la sporcizia, la povertà, la malsanità dei luoghi fisici e mentali frequentati da Limonov producono nel loro elenco stordente quel miracolo che Carrére è riuscito a rendere, seppure di seconda mano: la grazia e la nausea, l’abbandono e il mal di mare, e quella specie di languore sensuale – a ben vedere una forma molto complessa e politica di pietas – per il concentrato di umanità in Limonov a cui nessuno di noi può dirsi estraneo.

                                                                                                                                                                   Daniela Ranieri 

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Libro dell'acqua  - di Eduard Limonov 

traduzione di M. Caramitti, ALET, Padova 2004

         Sesso vodka & Kalashnikov.

Autobiografia acronologica e asincrona di un eccessivo, debordante, egocentrico, narcisista.
Disgustoso quanto basta, poetico quando meno te lo aspetti, misogino nove volte su dieci quando parla delle donne, tecnicamente pedofilo (a cinquantacinque anni ha una relazione con una sedicenne che, sottolinea più volte, non dimostra più di undici-tredici anni), romantico in controtendenza quando il suo sguardo spazia sulle rovine geopolitiche dell'ex Unione Sovietica - La Russia non doveva lasciarla andar via questa terra [il Tagikistan], doveva tenersela stretta, non fosse altro per un fatto estetico. Anche solo perché qui nei laghi vivono pesci del genere e cresce il melograno, frutto complicato, come celle d'alveare serrate a pugno, piene di pungente sangue rosso. - ignorante che indigna con i suoi commenti sulla storia di Roma o sulla Fontana di Trevi (che definisce (…) niente di speciale. Una costruzione acquosa, vischiosa, ossidata.) o sugli italiani (che accusa di lavarsi troppo poco, al pari dei francesi!), ma che dimostra di conoscere la storia antica meglio di quanto potrebbe sembrare e che si commuove e riflette di fronte alla gelida imponenza della Piazza della Libertà e della fontana a specchio di Char'kov, Ucraina (Una piazza infatti è un grande luogo vuoto, come può essere un simbolo?) o allo stagno maleodorante e infestato dagli insetti di Tjuren'ka nel quale si tuffava quand'era poco più che bambino.

Il pretesto narrativo, il filo conduttore, per Limonov che nel 2001 scrive dal carcere-fortezza di Lefortovo a San Pietroburgo, dove è stato rinchiuso in seguito a una condanna a quattro anni con l'accusa di terrorismo (ne sconterà solamente due durante i quali scriverà ben otto libri della sua impressionante produzione letteraria), è l'acqua: che sia di mare, di fiume, delle fontane, o degli aryk (cioè i canali), di laghi stagni e paludi, o dei bagni turchi siberiani o dell'Altaj o persino del carcere, o semplicemente pioggia, poco importa, tutto concorre a evocare un ricordo, a permettere al dissidente e oggi oppositore di Putin (ma anche amico di Arkan ai tempi della guerra dell'ex Jugoslavia), esule a Parigi New York e persino a Ostia nei primi anni Settanta, di raccontarsi, di autoincensarsi, di esaltare se stesso e il Partito Nazional-Bolscevico del quale è fondatore e massimo rappresentante, di rammentarci continuamente le sue doti di poeta e letterato, di giornalista e politico combattente e perseguitato (è in carcere a causa di alcuni artcoli pubblicati su Limonka, il suo giornale), dei rischi e delle avventure che continuamente ha corso nella sua esistenza vissuta in bilico fra la figura di soldato - Mi piacciono i soldati. Non ne ho mai fatto mistero. Io stesso sono per metà rivoluzionario e per metà guerriero. - e quella di bohémien.
Quanto alla sua scrittura e alle sue qualità artistiche, reali o presunte (certo è che qualcuno in Francia piuttosto che negli Stati Uniti lo ha sempre pubblicato e ha dato spazio alla sua voce riconoscendogli lo status di artista) ci ricorda Wikipedia.org che quando nel 1990 ebbe inizio la sua collaborazione con i giornali di lingua inglese a Mosca "Living Here" e "The eXile", Limonov chiese ai redattori di preservare il suo "terrible Russian English style", accorgimento che, l'editore italiano ci conferma, è stato adottato anche per la traduzione in italiano.


Non so bene per quale motivo, ma a un certo punto leggendolo ho pensato a Bukowski, a quel poco che ho letto di Bukowski, e poi ieri, a lettura conclusa, ho trovato questo articolo -http://www.laprivatarepubblica.com/co... - nel quale Limonov brevemente si racconta (ancora una volta, ma in maniera decisamente più organica) e fa cenno proprio alle accuse di plagio nei confronti di Bukowski che gli sono state fatte e al suo incontro con Lou Reed, e mi viene da pensare che non è del tutto sbagliato credere che Limonov abbia assorbito e voluto riproporre, alla sua maniera, quella figura di poeta maledetto che unita agli ambienti punk e di avanguardia letteraria frequentati a New York a metà degli anni Settanta, alla figura dell'esiliato povero e perseguitato, e a quella del combattente spregiudicato, hanno generato la sua grezza poetica, l'istintualità programmata del narcisista e dell'autore che abbiamo davanti ai nostri occhi. 

Ecco, penso che tutti questi, uniti alla possibilità di guardare da un punto di vista inusuale una fetta di Storia che ci è contemporanea ma estranea e molto vicina quanto lontana, siano motivi per decidere di leggerlo, ma anche, naturalmente, gli stessi validi motivi per scegliere di fare l'esatto contrario.
Per quanto mi riguarda, per mettere un po' di ordine, leggerò anche "Limonov" di Emmanuel Carrère.

Circa due terzi della città erano annoverati tra gli edifici di particolare rilievo artistico: case di legno, grigie e nere per il tempo. Fazzoletti, pellicce, colbacchi: tutto come in un museo. E soprattutto questo concentrato di antichità sotto un cielo blu scuro diurno, denso come colla. La temperatura era -32 gradi. 
Siamo in Siberia, e le mie sono tre stelline molto abbondanti, grezze ma pur sempre stelline.

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EDDY-BABY TI AMO

traduzione di M. Falcucci, Salani Editore, Milano 2005;

E.V. Limonov

Libro dell’acqua

traduzione di M. Caramitti, ALET, Padova 2004

 Recensione di Marina Sorina 

eSamizdat 2005 (III) 2-3, pp. 482-485  

 Avventure, amicizie e amori di un eterno adolescente: Eduard Limonov 

Da quest’anno ( scritto nel 2005 ) possiamo finalmente affermare che Eduard Limonov non è più uno sconosciuto in Italia. Decenni di ritardo sono stati recuperati nel giro di pochi anni. Della sua esistenza si sono accorti prima i giornalisti, che hanno dedicato vari articoli alle sue attività politiche, e ora anche l’editoria. Siamo ancora ben lontani dal poter leggere in italiano tutta l’opera di Limonov, che include decine di romanzi e centinaia di racconti, eppure i tre libri presenti sul mercato nazionale rappresentano bene i diversi periodi della sua cospicua produzione.

Il primo dei tre romanzi che hanno segnato la scoperta dell’autore russo, Diario di un fallito, è stato recensito da Milly Berrone (eSamizdat 2004, 2, pp. 297-299), pertanto ci soffermiamo sui due libri restanti.

L’ultimo a essere pubblicato in Italia e il primo dei due libri a essere scritto è composto in un periodo di relativa calma, quando Limonov, già affermatosi come scrittore grazie al successo non facile di Eto ja, Edička, [Sono io, Edička, 1976], si trasferisce in Francia e rivolge lo sguardo al suo passato remoto.

Nell’arco degli anni Ottanta crea una trilogia che descrive passo-passo la cronistoria della sua crescita, seguendo la tradizionale tripartizione tolstoiana: dell’adolescenza sceglie due giorni, il 7 e 8 novembre del 1958 (Podrostok Savenko [L’adolescente Savenko, 1983]), della gioventù un mese, l’agosto del 1967 (Molodoj negodiaj [Un giovane farabutto, 1986]), mentre l’infanzia dura di più e include gli anni dal 1947 al 1950 (U nas byla velikaja epocha, [Abbiamo avuto una grande epoca, 1988]).

In questi libri, parlando di sé, dei suoi amici, della città di Char’kov e in particolare della vita di quartiere, Limonov crea un affresco ricco di dettagli, d’informazioni, d’annotazioni quasi antropologiche, che fissano su carta i modi di dire, i soprannomi, i vestiti e le pietanze che si consumavano in quegli anni in quell’angolo di Unione sovietica.

Come afferma l’autore, “nei libri di questa trilogia è importante non tanto il protagonista stesso quanto il suo ambiente, il tempo, l’epoca”. Della trilogia possiamo ora leggere in italiano la parte dedicata all’adolescenza, tradotta da Matteo Falcucci per i tipi di Salani Editore con il titolo trasformato in Eddy-baby ti amo.

L’intera azione del libro si svolge nel giro di due giornate particolarmente intense, ma grazie alle continue digressioni e alla precisione realistica delle descrizioni ci restituisce una vivida e completa immagine della vita quotidiana di un sobborgo operaio come lo era, ed è ancora oggi, Saltovka.

    A distanza di trentacinque anni dagli eventi narrati, l’autore s’immedesima con se stesso quindicenne, un ragazzino che, per magia, acquista la capacità di parlarci, superando la distanza spazio-temporale, confidandoci tutti i suoi problemi.

Primo su tutti: la mancanza di denaro che serve per portare a una festicciola la sua ragazza del momento. Questo è in realtà l’unico movente del protagonista, ma la ricerca del denaro presuppone sottili conversazioni diplomatiche con gli amici più abbienti, furti immaginati o realizzati, un amaro rancore verso i genitori, e infine un’improvvisata partecipazione a un concorso di poesia in piazza.

Strada facendo, spostandosi da un punto vendita di alcolici all’altro, il ragazzino-narratore ci presenta i personaggi che incontra: nel loro mondo, le amicizie nascono dalle risse, dalle fughe, dai furti, per poi forgiarsi nella comune resistenza ai poliziotti e alla massa grigia degli operai, soprannominati “la tribù dei caproni”, a cui i giovani teppisti cercano di non assomigliare.

Per distinguersi basta indossare un giubbotto giallo o passare una notte in gattabuia. In questo mondo saldamente gerarchico, dove ogni casa, ogni strada, ogni quartiere, sono rigidamente marcati, diventa ribellione anche il semplice atto di spostarsi dai quartieri di periferia in centro, e bastano poche fermate di tram per approdare in un mondo totalmente diverso.

Il mondo del dopoguerra sovietico, apparentemente basato sull’uguaglianza, è attraversato invece da una rete invisibile di demarcazioni sociali, che lega le persone e coordina l’interazione fra i gruppi.

    Il merito di Limonov sta proprio nel saper cogliere e riprodurre questo spirito.

Scopriamo, ad esempio, che i ragazzi di Saltovka sono figli di operai, che il loro futuro è quello di sgobbare in fabbrica per pochi soldi e abitare in baracche condivise, mentre i loro coetanei che vivono al di là dello stagno sono figli di contadini che guadagnano bene coltivando gli ortaggi da vendere al mercato e hanno una casa con giardino. I due gruppi si rispettano, ma si tengono a distanza, mentre i ragazzi di due quartieri proletari ugualmente disagiati, Tjurenka e Ivanovka, mal si sopportano. Nel creare queste frontiere invisibili sono tanti i fattori che contano: l’etnia, l’estrazione sociale, l’alloggio occupato, la marca di sigarette fumate.

Ogni zona ha le proprie regole, i propri codici di comportamento, il proprio linguaggio. In traduzione è pressoché impossibile riprodurre questo slang, questo misto colorito e particolare di russo e ucraino, che già nei quartieri centrali della città non sarebbe compreso.

  Se Pasolini, da buon lungimirante, completava i suoi romanzi sui ragazzi di strada con un vocabolarietto dello slang romano, Limonov sceglie di spiegare l’origine e il significato di alcune parole gergali direttamente nel testo, in linea con il suo ruolo di guida, sempre pronta a spiegarci che cosa si nasconde dietro i singoli elementi della realtà riprodotta (siano essi oggetti, persone o modi di dire).

Se i quartieri confinanti sono percepiti come nemici o neutrali, tutti gli spazi esterni (sia i quartieri centrali, “puliti” della città, che le zone “comuni”, come la stazione centrale o il teatro) sono mitizzati, al pari delle città lontane come Vladivostok o Tallinn. Un ucraino che viene dal centro non è percepito come un uomo di Saltovka, così come non sono percepiti come uomini gli azeri che trafficano al mercato rionale.

Saltovka è in sostanza un villaggio inglobato dalla città in rapida espansione, e del villaggio conserva la visione comunitaria del mondo, basata sulla dicotomia noi/loro.

A questo strato arcaico si sovrappone nel romanzo lo sguardo di un bambino solitario, perso fra libri e mappe, un bambino tenace che ricopia a mano i resoconti delle esplorazioni esotiche, sognando di evadere da quel mondo. Questi sogni sembrano futili a lui stesso, quando, all’età di undici anni, viene preso a botte da un coetaneo, ma, in futuro, i suoi compagni di classe rimarranno ad abitare a Saltovka, al massimo trasferendosi dalle baracche di compensato ai palazzoni di cemento, mentre il nostro autore ne farà di strada...

  Ancora oggi al mercatino di libri usati di Char’kov si trova qualche personaggio che afferma di aver conosciuto Edička, di aver bevuto e vissuto a suo fianco; e intanto ha tra le mani uno degli ultimi bestseller di Limonov e cerca di vendervelo a caro prezzo.

Questa duplicità di rozzezza e lirismo, dovuta all’essere “occhialuto” e “deboluccio” in mezzo a teppisti con il pugno o il coltello sempre pronto, lascia un segno su tutta la produzione migliore di Limonov, che risulta convincente proprio perché non è mai solo brutale: per quanto tenti di mettere la violenza al centro del testo, l’autore non può infatti fare a meno dei brani lirici.

Così, in Eddy-baby troviamo ad esempio la descrizione di una festa di Pasqua passata a casa di un amico, un ricordo solare e felice di ospitalità contadina e di interazione con degli sconosciuti. Con loro si mangia, si beve, si balla senza pudori, e la descrizione di questa allegria richiama alla memoria la famosa danza di Nataša in Guerra e pace. Poco dopo segue però una brutalissima descrizione di violenza di gruppo, a cui lo stesso Eddy partecipa con entusiasmo.

Il lettore, cullato dalla successione abbastanza omogenea di bevute, ricordi d’infanzia, arrabbiature con gli adulti e cotte per le coetanee, resta colpito da questa improvvisa esplosione violenta, dove le persone vengono ridotte in brandelli di carne tiepida per il capriccio di un capobanda assettato di avventure. Il passaggio potrebbe essere interpretato come un espediente inserito da Limonov per scioccare il lettore, se non fosse probabile che tali situazioni avvenissero davvero in quella città. I racconti di combattimenti a sangue fra quartieri rivali appartengono infatti alla memoria storica di chi è stato giovane a Char’kov fino almeno agli anni Sessanta. Nel non escludere dalla narrazione questo episodio l’autore resta dunque fedele all’obbligo di cronista oggettivo che si è assunto.

   Il Libro dell’acqua, tradotto da Mario Caramitti per Alet Edizioni, appartiene a un periodo completamente diverso dell’opera dell’autore.

 Limonov si trova in prigione, come detenuto comune, ma con carta e penna in pugno. I suoi sostenitori sono fuori attendendo di ricevere una nuova porzione di manoscritto e gli editori sono pronti a pubblicare tutto quello che produrrà.

Limonov coglie l’occasione di questa tregua per riordinare la propria memoria, ovvero gli aspetti che fino a quel momento non erano stati sfruttati. Come sempre, Limonov trova una struttura e poi riempie le caselle: in questo caso, sceglie un tema (l’acqua in tutte le sue forme) e sforna il Libro dell’acqua.

Pozze, saune, piogge, laghi, fontane, fiumi, mari, oceani, offrono un vasto repertorio di storie nelle quali l’acqua a volte è solo un pretesto (“lo so che bisogna scrivere dell’Atlantico, ora ci arrivo”) per raccontare un aneddoto, una storia romantica o infame, per lodare o compromettere una persona, e, in ultima analisi, per fornire ulteriore materiale ai futuri studiosi della vita di Limonov. Non per caso spesso si rivolge al lettore con osservazioni che dovrebbero ricollegare un certo episodio narrato con un altro episodio menzionato nei suoi libri precedenti.

Privato della possibilità reale di spostarsi, Limonov viaggia ora con la mente, passando in rassegna città e continenti, da Char’kov a New York, dal Dnestr al Tevere, dal Mediterraneo al Pacifico.

L’autore non lascia le briglie alla fantasia: anche in questo caso lui ha solo vissuto, con l’impegno di farlo sempre intensamente, e ora il semplice racconto dei suoi trascorsi basta per catturare l’attenzione del lettore. Non a caso la casa editrice ha inserito il libro nella collana autografie e nella copertina fa un uso massiccio di immagini d’archivio e dei volantini del partito, che fanno pensare a un strampalato album di famiglia. Peccato che fra la “Preghiera del Nazionalbolscevico” e i brani tratti dalla scheda di lettura, l’editore si lasci sfuggire un errore grave nella biografia dell’autore, quando veniamo informati che Limonov sarebbe nato in Ucraina, mentre lui stesso nel libro dice che “grazie al cielo almeno non ci sono nato, a Char’kov”.

Sorprende anche la traduzione di uno degli slogan del Partito nazionalbolscevico, dove ублюдок [bastardo], diventa “puttana”, cambiando completamente il senso dello slogan. In ogni caso, non c’è dubbio che proprio per l’esuberanza di stimoli questa copertina piacerà a Limonov.

“Se vuoi fare l’eccentrico, bisogna andare fino in fondo”, dichiara infatti nel Libro dell’acqua. Una volta esaurito il repertorio delle eccentricità quotidiane (sesso, droga e crimini vari), Limonov arriva alla voglia di agire e influire direttamente sugli eventi tramite la politica.

Raccontandoci varie facezie del passato non perde l’occasione di menzionare il suo partito e di sfoggiare le amicizie con i potenti o presunti tali, si tratti di guerriglieri serbi o di nostalgici della Repubblica sovietica di Transdnestr.

La politica viene infilata nelle pieghe della narrazione come la pubblicità in una rivista rispettabile, annacquandone la densità; ma è così il Limonov degli ultimi decenni. Si porta pazienza, si saltano le pagine e si va a vedere dove lo porterà il suo cuore ribelle...

Eddy-baby ti amo descrive il punto di partenza di questo lungo tragitto,  Libro dell’acqua  ne traccia il seguito non lineare. Man mano che l’esperienza si accumula, l’elaborazione letteraria si assottiglia, per diventare infine quasi superflua.

Esaurita la memoria, Limonov s’immerge nelle acque del “qui e ora”, preferendo sempre più l’azione alla descrizione della stessa.

Ciò che lo mantiene nel novero degli scrittori contemporanei più prolifici sono l’inesauribile narcisismo e la necessità di guadagnarsi da vivere, ma il suo contributo alla storia della letteratura russa moderna è in ogni caso indiscutibile.

   E per il lettore italiano questo contributo è ancora tutto da scoprire e da gustare.

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 EDDY-BABY TI AMO  

 "Memoir of a Russian Punk" in USA - "Autoportrait d'un bandit dans son adolescence" en France 

Camilla Baresani 

Il Sole 24 ore - Domenica  - marzo 2005

 La storia, autobiografica come tutte quelle narrate da Eduard Limonov, è tra il romanzo di formazione e l’educazione sentimentale.

Eddy-baby, quindicenne di un sobborgo di Char’kov, in Ucraina, ha bisogno di duecentocinquanta rubli per portare a una festa la ragazza di cui è innamorato: è il 7 novembre, anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, festa nazionale.

Siamo alla fine degli anni Cinquanta, in piena epoca chruščeviana. Il romanzo si svolge in due giorni, come in una sorta di conto alla rovescia durante il quale Eddy prova a procurarsi i soldi, con ogni mezzo: furto, truffa, richiesta di prestito, addirittura la partecipazione a una gara di poesia.

Intanto, però, in quelle due giornate ritmate dalle bevute smodate, dalle chiacchiere teppistiche, dalla voglia collettiva di menar le mani, di sfasciare e stuprare, scorrono sotto i nostri occhi il passato di Eddy e una serie interminabile di personaggi: altri adolescenti come lui alle prese con ogni genere di reato e infrazione, ragazzine un po’ vittime e un po’ complici, genitori degli uni e delle altre – contadini ricchi, operai, militari, casalinghe e prostitute –, trentenni criminali che già hanno alle spalle lunghi periodi di detenzione in carcere e nel Gulag siberiano della Kolyma.


Eddy-baby ti amo (il titolo originale, decisamente migliore, è "L’adolescente Savenko") è un romanzo sull’adolescenza e i suoi infiniti problemi, sulle avventure di un piccolo delinquente, sulle prime pulsioni erotiche e sentimentali e sul loro esito formativo.

Ma la storia di questo teppista che chiunque vorrebbe al riformatorio si relativizza, perché ambientata in una società totalitaria nella quale anche le forme più odiose di infrazione delle regole si caricano di valenze politiche, si ammantano e nobilitano con una patente di “dissidenza”.

Eduard Limonov, nom de plume di Eduard Savenko, autore di questo romanzo scritto negli anni Ottanta e finalmente pubblicato anche in Italia, è il più noto degli scrittori russi contemporanei – noto anche per motivi extraletterari: esule a New York e più tardi a Parigi, tornato in patria alla caduta del comunismo, finito in carcere per motivi legati alla sua attività politica (è il fondatore del grottesco partito nazionalbolscevico).

Limonov è una testa calda, un bastian contrario che ha vissuto cercando di costruire il mito di se stesso con un’ideologia confusa e bellicosa, fatta di rimpianti superomistici e imperialisti.

Interessantissimo, per gli appassionati delle vicissitudini storico letterarie dei paesi dell’est, è il quadro che emerge dalla lettura di queste pagine: l’alcolismo, le gerarchie della società sovietica e le frustrazioni delle classi sociali, le profonde differenze etniche (di chiunque si precisa sempre la provenienza e il relativo cliché – gli ebrei, i tartari, i georgiani, gli zingari...), i fenomeni sociali (per esempio gli stiliagi, giovani modaioli e cultori dei modelli occidentali – dunque anch’essi dissidenti). La lingua del romanzo è secca, e funzionale allo stile diretto del racconto.

Le prime venti pagine sono di lettura faticosa, per via dell’affollarsi di nomi e personaggi; ma vale la pena di sforzarsi e procedere: già a pagina 51 e nelle seguenti si trovano notazioni sociali e private (i proletari, il senso d’ingiustizia patito da un adolescente, la scoperta della miopia) di quelle che danno senso a un libro e al tempo che dedichiamo a leggerlo.

Per chi si appassionasse a quest’autore e al suo sguardo di sognatore astioso, segnalo altri due suoi famosi romanzi da poco tradotti in italiano: Diario di un fallito (Odradek edizioni), séguito newyorchese della vita di Eddy-baby, e Libro dell’acqua (Alet), un memoir scritto in carcere, nel 2002, che Limonov ritiene essere la più significativa delle sue opere.

                                                           Camilla Baresani - 2005 


Eduard Limonov, Eddy-baby ti amo, Salani, euro 14, pagg. 314  

 

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LEV DANILKIN: 

 

La rassegna del mese: Eduard Limonov 

 

Eduard Limonov. ILLUMINATIONES.      Ad Marginem, Moskva 2012 

                (in russo)

Ogni anno (mese, settimana) che passa Eduard Limonov si ritrova sempre più vicino ad un percorso biografico ideale. Bandito, poeta, scrittore, ribelle: a quest’elenco a dir poco impressionante si aggiunge, con l’uscita del libro Illuminationes, l'appellativo di creatore di un’autentica Religione Universale o se volete quello di pseudoscienziato laureato, a voi la scelta. Munito di un intelletto acuto, previdente, cinico e folle al punto giusto, Limonov ha sempre studiato con attenzione il proprio riflesso nello specchietto retrovisore e, dopo aver confrontato le grandi linee della propria biografia con le informazioni ricavate dalle fonti maggiori, tra cui la Bibbia, il Corano, “L’origine delle specie”, è arrivato alla conclusione che la teoria della nascita del mondo richiedeva una revisione radicale. Limonov ha scoperto al settimo decennio della propria vita che l’uomo non è altro che un robot biologico, progettato e messo in funzione da Dio-Creatore apposta per colmare il deficit del nutrimento energetico. Come in ogni opera di fantascienza “pop” che si rispetti, tutti i dati scientifici, comprese le riflessioni relative alla genesi umana, ai particolari del funzionamento dei dragoni nonché alle prospettive dell’imminente rivolta contro le forze superiori, vengono proposti in forma non astratta ma intenzionalmente personalizzata, forse per rendere il contenuto più vivace, forse per qualche altro scopo: così, parlando della teoria di Lamarque, Limonov aggiunge che pure lui si era seduto, qualche volta, sotto lo stesso pino, dove il noto naturalista, a Parigi, si dedicava alle riflessioni sull’evoluzione del mondo organico; descrivendo le tristi vicende di Lucifero (il quale dotò i bio-robot della capacità di ragionare e poi divenne vittima di calunnie e di falsità), fa notare che pure lui, Limonov, che non aveva mai voluto far altro che “spiegare il mondo ai concittadini più giovani”, fu denigrato e diffamato dai malevoli.

Ad ogni modo resta chiaro che l’umanità, con o senza Limonov (a seconda di come capita), un giorno si ribellerà contro il proprio Creatore e, come minimo, otterrà l'immortalità; così andrà se la chiaroveggenza di Limonov si rivelerà altrettanto grande quanto il suo talento letterario. Su quest’ultimo punto non c’è alcun dubbio: l’unica cosa che Limonov non riesce a decifrare è il proprio futuro. In effetti nessuno, lui compreso, sa quale altro ruolo egli stesso vorrà assumere. Ha già abbondantemente superato Ernst Jünger , Yukio Mishima e Aleksandr Solzhenicyn, ma neanche questo, a quanto pare, è il suo limite.

                                                                          Lev Danilkin

 EDUARD LIMONOV

IL TRIONFO DELLA METAFISICA

  •  Traduzione dal russo: Giulia De Florio, Elena Freda Piredda Milano, Salani. 2013

Nel Trionfo della metafisica, Eduard Limonov, noto scrittore, poeta e politico russo, racconta i mesi trascorsi all’interno della colonia penale n° 13 nelle steppe della regione di Saratov. Al lager Limonov era arrivato all’inizio del maggio 2003 dopo due anni di prigione. Il libro pullula dei personaggi più disparati: i duri passati per le carceri e i campi di rieducazione per giudizi spesso iniqui e affrettati, i criminali incalliti, ma anche gli innocenti ingiustamente condannati. Tutti riforgiati in qualche modo dall’esperienza dolorosa della prigionia, non necessariamente abbrutiti, ma quasi sempre colti dallo sguardo pungente e imperturbabile dello scrittore nella loro insopprimibile ma castrata umanità.

Limonov si inserisce nella grande tradizione letteraria russa: quella che, scontrandosi tragicamente con la realtà del carcere e del gulag, ha trasformato la prigionia in una metafora della società e della condizione umana. Ogni pagina di questo libro è una tensione verso l’ascesi; l’esperienza penitenziaria diventa superamento dei limiti spazio-temporali, esercizio di controllo e padronanza di sé; il recluso è un monaco, la sua libertà è tutta interiore e va conquistata e difesa ogni giorno.

Con più di trenta romanzi all’attivo, poesie, scritti teatrali, articoli e saggi tradotti in moltissime lingue, Eduard Limonov è noto in Europa grazie anche al libro straordinario dedicatogli dal letterato e giornalista francese Emmanuel Carrère.

ZACHAR PRILEPIN:

- A proposito di Limonov, cui la Sua opera e il Suo stile sono stati paragonati più volte, sappiamo che stava lavorando alla raccolta delle sue poesie inedite. Come è nato questo progetto e a che punto è arrivato? Inoltre, cosa La accomuna a Limonov: l’esperienza di vita, lo stile della scrittura o una vicinanza di idee e obiettivi?

- Limonov è un poeta unico nel suo genere, ma in Occidente le sue poesie non sono mai state tradotte, né presentate; lo si conosce come narratore, ma come poeta non molto. Quello in cui lavora Limonov è un settore paradossale, fantasmagorico della poesia e una quantità enorme dei suoi lavori inediti è stata conservata dai suoi amici. Sono i versi che scrisse prima di emigrare e che io ho raccolto in un intero volume a cui ho aggiunto la mia postfazione. Mentre lavoravo alla raccolta, Limonov era molto contento, si complimentava con me, leggeva e ricommentava, ma quando gli mandai il volume finito, mi disse: “Zakhar, ci ho ripensato, non voglio più pubblicarlo”. In effetti, c’erano dei versi secondari all’interno, che non erano dei migliori. Ma non mi sono offeso – mi resta comunque una miniera d’oro e solo io al mondo posseggo questa raccolta. È una grande ricchezza! 
Per quanto riguarda l'esperienza di vita, lo stile della scrittura e la mentalità…non pienamente, io sono più conservatore, legato alla famiglia, inscritto nella tradizione russa. Limonov è più rivoluzionario, più radicale e più volte mi sono fatto delle domande riguardo alle sue idee su Drugaja Rossija (L'altra Russia), ma la sua coerenza, il suo coraggio, il suo carisma umani sono assolutamente indiscutibili e lo conosco da molto tempo. Ho iniziato a leggerlo nel 1988-1989 e l'ho conosciuto personalmente nel 1996. Tutti i personaggi politici della Russia hanno dimostrato di essere corrotti, di lasciarsi comprare, spaventare, annientare, invece a lui non è successo niente del genere. È rimasto così come quando l'ho conosciuto, un uomo dalla volontà d'acciaio. Poco tempo fa nel suo blog ha scritto: "La gente non vede l'ora che io crepi. Davvero non capite che non morirò mai?" E non sembra voler scherzare!

 Ludmila Ulitskaja: 

 

 

- Lei ha scritto la prefazione all'edizione francese del libro di Eduard Limonov "Le mie prigioni". Perché ha deciso di aprire con un Suo testo il libro di un autore che dopo l'uscita della biografia di Emmanuel Carrère è diventato (di nuovo) incredibilmente popolare in Francia e in altri paesi?

 

- Lo so. Il talento e l'intelletto appartengono a Dio, forse giacciono in diverse tasche, nel distribuirli non tutti ricevono sia l'uno, che l'altro. Non provo la benché minima simpatia per il nazional-bolscevico Limonov, le sue opinioni politiche per me sono inaccettabili, ma è uno scrittore di talento e non potevo rifiutare quando mi hanno proposto di scrivere la prefazione al suo libro. Lo studio della vita in carcere è uno dei temi più importanti della letteratura russa: Tolstoj, Dostoevskij, Čechov ne hanno parlato. In questo Eduard Limonov porta avanti un tema radicale della letteratura russa. Fino a quando esisteranno un carcere crudele, una giustizia venale e codarda e un potere autoritario, gli scrittori in Russia parleranno della prigionia. Molti libri simili sono stati scritti nel XX secolo: Solženicyn e Šalamov, Marčenko e Sinjavskij…. Limonov. Ed ora anche Chodorkovskij scrive saggi magnifici sulla vita dei carcerati*. Finché in Russia esistono prigioni simili e una simile giustizia, come quelle di oggi, devono esistere anche libri che parlino del carcere.

http://www.premiogorky.com/it/russia-italy/publications/84

 

Zachar Prilepin: "La Russia sarà salvata dalla coscienza di un milione di persone attive e non conformiste"

21-6-2011

РЕЖИМ ЧТЕНИЯ

- Mi corregga se sbaglio, ma ho l'impressione che nella sua arte letteraria giochi un ruolo fondamentale il modello presente nelle opere di Eduard Limonov; ovvero l’importanza di una posizione sociale attiva e risoluta che trova il proprio riflesso nel testo narrativo. In altre parole, per Lei è essenziale che la vita prenda il sopravvento sulla letteratura?

- Non esattamente. A me interessa più vivere che scrivere. A volte però mi sembra ancora più interessante leggere che vivere. La lettura, che sia chiaro, non si sostituisce alla vita, eppure essa, la lettura, spunta sempre da ogni dove, da qualsiasi fessura. In tutto questo sobbuglio dovuto alla politica, alla famiglia, ai viaggi così via, io cerco sempre un'opportunità per leggere con calma. Il testo narrativo per sé, la sua qualità e quel piacere che provo quando leggo i testi altrui, sono per me sinceramente più importanti della politica, sul cui fluire poco sensato cerco proprio di non concentrarmi.

Dello stesso Limonov mi interessa piuttosto la sua ipostasi letteraria, sebbene resti un politico eccezionale (uno dei pochi in Russia, se parliamo di veri politici e non di funzionari).

Quanto a me, io sempre scritto delle cose in qualche modo legate alla mia esperienza personale per la semplice ragione che questa esperienza ce l'avevo sotto mano, così come prettamente mie erano le riflessioni che ne ho cavato. Eppure trovo molto più interessante pensare agli altri che a me stesso. Scriverei con enorme piacere un grande romanzo in cui io non ci sia proprio. E lo scriverò senz'altro.

- Non crede che la letteratura non debba diventare campo di battaglia tra le ideologie e che l'attività artistica e politica debbano vivere, diciamo così, in piani differenti dello stesso condominio?

- Che vivano dove gli pare, è un loro affare personale. Non solo Fadeev, Majakovskij e Solzhenitsyn ma anche Pushkin e Dostoevskij avevano le loro opinioni politiche. È inevitabile, a ciò non si può sfuggire! Un altro discorso è affermare che l'arte di uno scrittore vero e intelligente si debba trovare sempre al di sopra di qualsiasi concetto politico e di ogni ideologia coprorativa. Mi scusi se torno a parlare di me stesso, ma il mio romanzo Patologie è stato classificato dai critici sia come testo filorusso che come testo russofobo, mentre nel romanzo Sankja, incentrato sulla vita dei giovani estremisti, la maggior parte dei relatori vede un simbolo della crisi e dell'assenza di prospettive piuttosto che un elogio alle opinioni espresse dal partito nazionalbolscevico. Il che significa solo una cosa: i testi che ho scritto trasmettono al lettore un po' di più rispetto a quanto sarei capace di dire come giornalista, cittadino, soldato dell'Omon (Forze speciali di polizia), membro di un gruppo estremista ecc.

-È d'accordo con la considerazione di Patologie come di una "verità in trincea"? Non La mette in imbarazzo il fatto che i Suoi testi vengano a volte considerati come continuazione della politica?

- Il termine stesso di "verità in trincea" ci rimanda alla letteratura della Prima e della Seconda guerra mondiale e questo è di certo un livello troppo impegnativo e serio. Io non scrivo della guerra e non mi faccio passare per un veterano o per un soldato di ventura. Scrivo invece della cosidetta "operazione anti-terrorista", un'impresa totalmente priva di senso; in tutto questo c'è la verità, sì, ma non ci sono trincee. Mi sono concentrato piuttosto sul comportamento di un uomo nel mezzo di una situazione critica, senza mai pormi l'obiettivo di analizzare le ragioni e le conseguenze delle guerre cecene. In altre parole, in questo libro non c'è politica; fermo restando che la politica è onnipresente.

- Lei rappresenta una tendenza importante della letteratura russa contemporanea, ovvero quella che descrive il processo di decadenza di una società problematica, piena di svariate disfunzioni. Allo stesso tempo però non nega la presenza di certi legami spirituali e letterari. È come se la macchina di nome "Russia" fosse finita in una buca profonda, ma al suo paraurti fosse stato precedentemente attaccato un cavo fatto di testi letterari, pensieri e sensazioni. Secondo Lei, questo cavo sarà in grado di tirar fuori una macchina del genere? Oppure la buca non c'è affatto e si tratta di uno stato normale della società russa permanentemente deviata?

- No, nessun cavo letterario sarà capace di tirar fuori la Russia da tale buca. Essa sarà salvata dalla coscienza di, diciamo, un milione di persone. Ci vogliono almeno un milione di persone attive, in grado di rinunciare per almeno 24 ore alla loro visione conformista del mondo (tra l’altro, rivolgo queste parole anche a me stesso). Invece i testi, come al solito, svolgono la semplice funzione di spiegare alla gente "che bello ritrovarsi qui" (come dice una nota canzone), "di chi è la colpa" e "che fare".

- Al Salone del Libro di Torino è stata presentata l'edizione italiana del Suo romanzo Patologie. Lei che accoglie a braccia aperte "l'assalto a tutti i palazzi", come definirebbe il proprio posto nel contesto del rapporto tra gli autori russi e il lettore europeo? Come la letteratura scritta da giovani ribelli può essere percepita da un lettore medio lettore, sodisfatto e compiaciuto?

- Ritengo che il lettore russo sia altrettanto compiaciuto che quello europeo. I miei libri sono stati pubblicati anche in Francia ed in Polonia ed anche in questi paesi ci sono specifici motivi per essere compiaciuti e per distanziarsi dall'autore russo e dal testo scritto da lui, ma per quanto sono riuscito a capire, alla fine è andato tutto bene. Quei lettori che non vivono nei palazzi, forse non sono contrari al mio appello all’assalto. Mentre quelli che nei palazzi ci vivono, e qui mi riferisco alla mia esperienza russa, spesso apprezzano ancora di più i miei testi. Probabilmente, di nascosto, vorrebbero che qualcuno li assalisse.

- Patologie è il Suo primo romanzo edito in Italia. Il mercato editoriale italiano è molto particolare: vi ci possono apparire le opere di autori poco conosciuti in Russia (fatto di per sé piuttosto lodevole), ma allo stesso tempo ci sono delle notevoli lacune in merito alla pubblicazione delle opere degli esponenti più grandi della letteratura russa di oggi. Sembra paradossale ma tuttora mancano le traduzioni in italiano dei romanzi di Dmitrij Bykov o di Aleksandr Prokhanov. Cosa ne pensa? Forse il motivo sta nell'eccessiva carica politica e critica di questi testi?

- A mio parere invece questa è una situazione assolutamente normale. Nelle librerie francesi, in cui gli scaffali con i libri degli autori russi sono assai ben forniti, ho notato lo stesso fenomeno: non conoscevo, in media, un nome su cinque, ma allo stesso tempo alcuni autori rilevanti non erano affatto presenti. Credo che da noi la situazione sia simile. Mi ricordo lo stupore dei lettori francesi, polacchi o rumeni quando mi mettevo ad elencare gli autori dei libri che avevo appena letto o stavo leggendo e che loro non avevano mai sentito nominare. Essi, in cambio, mi facevano i nomi di coloro che consideravano i più rilevanti scrittori russi di oggi. Nomi che in Russia sono sconosciuti al grande pubblico e le cui opere non hanno ancora avuto nessuna risonanza. In generale, c'è un visibile ritardo e gloria a colui che riuscirà ad aprire la strada agli altri. Quanto invece alla politica e alla critica della società, com’è già stato detto, non possono proprio mancare. Non sono per caso presenti nei romanzi di Orhan Pamuk o Jonathan Franzen? Per menzionare solo due autori noti in tutto il mondo e che personalmente stimo moltissimo.

- Lei è autore di un brillante volume intitolato Onomastico del cuore (interviste agli esponenti della narrativa russa), e ormai è diventato difficile parlare con tali scrittori senza evocare, di tanto in tanto, le domande che vi sono state formulate. Ci spieghi per favore i criteri con cui ha selezionato gli autori per questa sua "conversazione con la letteratura russa"?

- In genere, ho parlato con le persone che mi sono simpatiche, eccovi l'unico criterio della selezione. Ritengo però che l'argomento sarebbe rappresentato meglio se ci fossero non uno ma due o meglio, tre volumi della serie. Lo dico perchè nella letteratura russa gli interlocutori interessanti non mancano mai. Ad esempio, nel libro manca un'intervista con Dmitrij Bykov che personalmente apprezzo e stimo moltissimo. Non c'è Pavel Bassinskij, senza il cui dialogo ed opere sarebbe impossibile rappresentare il quadro completo della letteratura russa di oggi. Non c'è Eduard Limonov che considero il mio maestro letterario. Non ci sono Valentin Rasputin e Andrej Bitov, i quali a giusto titolo possono concorrere all’ottenimento del premio Nobel. In fine, sono assenti alcuni degli scrittori più recenti e da me personalmente amati come Aleksandr Terekhov e Oleg Ermakov. Se si escludono i nomi sopra elencati, quasi tutti gli altri autori con i quali ho voluto parlare sono presenti nel libro che, in fin dei conti, risulta essere carino e divertente.

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