"Ego limonoviano di Carrère"

#Limonov e #Carrère. Sembra tutto pacato, ma in quella cucina è nato un libro incandescente, che non dimentichi più.

              “Sospendo il giudizio”1.

 

Il ‘ritratto’ dell’ego limonoviano di Emmanuel Carrère

              MARCO PULERI - Studi Slavistici X (2013) p 219-236

 

http://www.fupress.net/index.php/ss/article/view/14143/13146

The author analyses the narrative strategies adopted by Emmanuel Carrère in his critically acclaimed work Limonov. Since the different critical approaches, focusing on the definition of a hybrid auto-biographical genre, it is stressed the connection between the autobiographical techniques adopted in his works by Edward Limonov and their influence on Carrère’s ‘portrait’. In Limonov we can observe the dialogue between the narrator and his hero, which represents a moment of reflection on the narrative relationship between reality and fiction in the auto-biographical genre. The author presents the specific devices adopted by the given authors, in order to show their complementary relationship in the process of literary ‘construction of the self ’.  

 

 

[...] la finzione letteraria è tenuta alla verosimiglianza. Penso che lo scopo di un libro sia di farti credere per verosimiglianza che il personaggio sia autentico.

                                                Emmanuel Carrère (Lima 2012: 56)

 

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Il grande successo editoriale del Limonov (2011) di Carrère ruota intorno ad uno dei grandi temi legati alla scrittura del sé. Quel rapporto tra invenzione e realtà, letteratura e vita, arteficio ed autenticità, su cui si è lungamente dibattuto nel corso del xx secolo. Scrivere di sé come documento, dato storico. O ancora, ‘rappresentar-si’ come culmine di un processo di autodeterminazione della propria personalità artistica. L’atto di indossare quella “maschera scelta consciamente” (Lotman 1985: 192), può assumere la valenza di un passaggio necessario per presentarsi ai propri lettori.

 

Emmanuel Carrère (1957) ed Èduard Savenko (1943), in arte Limonov, hanno fatto della propria vita, pur seguendo percorsi diversi, la materia prima della loro produzione letteraria. Il primo ha costruito sull’intreccio letteratura-realtà i suoi maggiori successi editoriali: in Un Roman Russe (2007), lo scrittore francese ha ripercorso la storia del suo nonno materno, emigrato georgiano collaborazionista, scomparso alla fine della seconda guerra mondiale, mantenendosi sempre sulla sottile linea che lega memoria e finzione letteraria (Lacey 2010). Nel breve racconto erotico L’usage du monde (2002), ha coinvolto la sua reale compagna in un gioco di seduzione, sotto forma di una lettera a lei indirizzata, che vede l’immaginario letterario perdere di fronte al primato del reale. Come afferma lo stesso autore, “la finzione può creare la realtà [...] anche se oggi nei miei libri non creo più storie immaginarie, io penso che inserire il punto di vista dello scrittore crei una verità. Non credo nella neutralità dello scrivere, credo in quello che io penso, io vedo, io sento” (Perego 2013). Limonov ha perseguito un’estetizzante confluenza di arte e vita nella definizione del suo percorso artistico, attenendosi ad una costante ricerca dell’èpataž e allo stravolgimento dei sacri confini dei valori culturali ed etici della società russa. Le sue opere hanno di gran lunga contribuito a sostenere questa sua immagine multiforme, in quanto è difficile distanziare l’invenzione artistica dal mero dato autobiografico nella sua produzione letteraria. Nel suo studio critico A biographical and critical study of the Russian writer Eduard Limonov, Andrej Rogačevskij sottolinea come: “[…] in the case of Limonov there is no substantial difference between the author and his main protagonist and […] Limonov ignores the boundaries between life and art” (Rogachevskii 2003: 8). Le incongruenze nel percorso di Limonov sono da lui definite “true lies”. In un’intervista rilasciata a Marco Dinelli, ad una domanda riguardante le sue strategie narrative, lo scrittore russo afferma:

1 “Je suspends sur ce point mon jugement” Carrère 2011: 35 (trad. it. Bergamasco 2012: 29)

 

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In senso stretto, sì, ho abbandonato quel tipo di letteratura in cui si inventano dei personaggi, io ho cominciato gradualmente a usare me stesso come personaggio delle mie opere, all’inizio timidamente e poi in modo sempre più disinvolto, e infine ho rinunciato a questo intermediario tra me e il lettore. I miei ultimi libri appartengono cioè al genere memorialistico o saggistico, sono tutti diretti, non c’è più alcun intermediario. (Dinelli 2005: 195)

 

Il Limonov di Carrère racconta di due modi di descrivere e descriver-si. È l’incontro tra differenti strategie narrative attraverso cui ri-creare la realtà, riproducendola attraverso la finzione letteraria. Il prodotto di questa co-creazione di una leggenda pseudo-biografica, ovvero della mediazione operata da Carrère attraverso il filtro auto-biografico della produzione artistica di Limonov, dà vita ad una forma letteraria ibrida che fa del mise en abyme il suo caposaldo: non una biografia, né un romanzo, ma un “ritratto”, per usare la definizione di Carrère:

 

Come definirei allora i miei libri? Dei ritratti. Se io fossi un pittore, sarei sicuramente un ritrattista. Tantissimi pittori ritraggono la figura umana [...] senti da qualche parte che certi pittori stanno ritraendo, in modo molto rassomigliante, delle persone reali. E ciascuno di noi, di chi guarda, anche inconsapevolmente, se ne accorge, coglie questa differenza [...] E questo vale anche per il mio libro su Limonov [...] Leggendo questo libro, qualcuno potrebbe davvero pensare che sia un parto della mia fantasia? Io non credo, penso che si avverta che ci sia una storia vera dietro. Senti, in un certo modo che non è facilmente spiegabile, direi intuitivo, se la storia è vera o no, se il personaggio – il volto – è vero o no, mancando ogni supporto esterno (Lima 2012: 56).

 

La genesi di Limonov consiste proprio in questo mancato tentativo di innesco di un’epokè dei vissuti husserliana. Sin dal prologo l’autore francese dichiara il suo intento di trovare quella giusta distanza dalla figura oggetto della narrazione, ma nel suo “ritratto” Carrère mette in atto un gioco di sovrapposizioni e continuo scambio di ruoli tra i due soggetti, che mantengono come trait d’union la “forma povedenija” (Vinokur 1927: 48) del personaggio autobiografico limonoviano. In Limonov è solo questa ‘maniera di vita’, o ‘forma dell’agire’, a poter essere descritta e narrata fino in fondo. Le fondamenta dell’opera dell’autore francese giacciono nell’aspirazione del ‘ritrattista’ di ri-creare quel legame tra gesto ed evento, pronto ad indossare anch’egli la ‘maschera’ nel momento in cui le strategie narrative prevedono che il narratore passi alla prima persona.

Su di un piano parallelo, il personaggio-Limonov rifrange come un prisma la visione straniante ed alienata della realtà russa. L’incapacità di comprendere appieno le scelte del personaggio, il suo percorso di vita si traduce talvolta in giudizi benevoli, tal altra in smarrimento ed incomprensibilità: tramite la maschera limonoviana e la rilettura delle sue opere auto-biografiche, Carrère può farsi spazio tra gli eventi della storia recente della Russia, all’interno di un percorso narrativo che corre tra gli sguardi dei lettori occidentali, di cui conosce la sensibilità e le inclinazioni, soffermandosi su figure per loro vivide, come Vladimir Putin e Anna Politkovskaja.

 

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Il tentativo di Limonov di ricreare una dimensione estetizzante dell’esistenza, una rielaborazione del proprio mito individuale, travalica i confini canonici della norma letteraria per sfociare in un desiderio di destare stupore, meraviglia, talvolta anche riluttante distacco nella critica e nei lettori. Alla base del “ritratto” di Carrère giace proprio l’autobiografia mascherata dello scrittore russo, un percorso di rottura che sembra rientrare nel sistematico progetto estetico di dar vita ad una letteratura che riporti alla luce tematiche scomode, personaggi al limite dell’inaccettabile, con il fine sotteso di porsi in prima persona all’interno di questo procedimento.

 

Autobiografismo o “Pseudo-autobiografismo” 

 

Artista, uomo politico, emigrato, occidentale, rivoluzionario, fascista e bolscevico. Sono numerose le definizioni dello scrittore russo Limonov, in quanto la sua passione per lo scandalo, la demistificazione dei tabù culturali, e l’arte, l’hanno reso fin dagli esordi un personaggio scomodo, o almeno di difficile interpretazione. La descrizione che ne fa Mauro Martini sembra racchiudere la dimensione della sua produzione letteraria:

 

Limonov con la sua indisponente esuberanza che fissa il proprio mito soltanto per affermare davanti al mondo di essere uscito vittorioso, lui, l’unico sopravvissuto, da una storia che si è esaurita e non ha futuro alcuno, non ha progetti all’infuori della pura dimensione estetica del bel gesto (Martini 2002: 20-1).

 

Uno dei risvolti della sua creazione artistica consiste proprio nel demitizzare alcuni tabù della società russa, quali la pornografia ed il turpiloquio. Come sottolinea Olga Matich:

 

Posing as an attention-seeking egotist, Limonov serves as a literary provocateur, whose literary politics are those of a certain unceremonious taboo-breaker […] Limonov introduces a lyrical protagonist who resembles a street person with roots in the post-Revolutionary new man […] he is a proletarian hero in the manner of Celine and Genet. Like a Genet criminal, who identifies with anarchic revolutionary energy and violent impulses of the oppressed, Limonov’s protagonist lives outside the law, celebrating his own sexuality  (Matich 1986: 526-7).

 

La definizione di “eroe proletario” si addice al personaggio autobiografico dell’autore russo nei termini di un’energia che pone le sue radici nel mondo degli oppressi, degli emarginati, e trova la sua manifesta espressione nella ricerca della violenza e nell’ostentazione della propria esuberante sessualità. L’accento posto sulla scrittura del sé nella letteratura russa recente2 , sin dagli ultimi decenni sovietici, è un dato incontestabile. Nella produzione letteraria di Limonov, però, vengono scardinati dei tabù così fortemente radicati nella società e nella cultura della propria madrepatria, come anzitutto la pornografia, che non si può esulare dal loro significato di rottura prima di attribuire un qualsiasi giudizio di va-

 

2 Cf. Gullotta 2011: 45.  

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lore. In questo modo si viene a determinare un duplice allontanamento di Limonov dalla propria terra d’origine: all’emigrazione si aggiunge il distacco dell’autore da un modo di intendere alcuni valori fondanti della cultura e della società della propria patria, radicalizzando in tal senso la sua posizione di oppresso ed outsider.

La realtà dell’emigrazione porta di certo ad estremizzare ancora di più tali caratteristiche contrarie alle proprie radici, ed il senso di dislocazione ed isolamento che ne derivano accentuano ancora una volta l’ardente desiderio di affermazione, e la sovversività letteraria insita nelle sue pagine. È evidente che sotto le maschere di narcisista ed iconoclasta l’autore potrebbe celare un senso di isolamento e separazione, che lo porta a creare un prototipo letterario che ha come proprio nucleo fondante la figura di un eccentrico solitario. Così l’autore descrive la sua autodeterminazione, o per dirla alla Lotman il suo posizionamento tra gli “uomini con una biografia”3 :

 

Evidentemente sono riuscito a convincere la gente, le persone hanno capito che sono uno scrittore, certo di tipo non tradizionale, ma per loro io sono comunque uno scrittore serio, che parla di cose serie, della vita, della morte, della prigione, in fin dei conti anche dell’amore, ma seriamente. Non è roba inventata. Non scrivo nello stile di una prosa ornamentale, o del post-modernismo, lo si chiami come si vuole, io non sono uno scrittore alla moda. Ed è questo ciò che la gente è abituata a considerare letteratura, letteratura legata alla vita, che parla della vita. Evidentemente la gente la pensa così. E poi penso che anche la mia biografia abbia il suo peso, perché la gente vede che l’autore scrive come vive, e questo evidentemente suscita un senso di rispetto (Dinelli 2005: 194).

 

La vita e la letteratura. Due elementi strettamente connessi per l’autore, che auspica di trovare attraverso questo legame inscindibile il consenso del pubblico, che in accordo alla sua visione è attratto dalla verità, dal riflettersi del mondo circostante nelle pagine letterarie. In tal senso Limonov insiste sulla natura della letteratura, e ad una domanda relativa al fatto che la complessità del mondo contemporaneo possa essere resa solo attraverso l’autobiografia risponde:

 

Sì, io penso che i personaggi inventati abbiano sempre irritato il lettore. Il romanzo come genere letterario appartiene all’epoca dell’ascesa della borghesia al potere […] Adesso, a mio parere, questo genere letterario sta morendo […] Oggi a mio parere è assolutamente impossibile usare un intermediario sotto forma di personaggi inventati […] Tuttavia la letteratura alta è pensiero, e la bellezza di un libro, di questo mattone di pagine di carta, è che resta il mezzo migliore per trasmettere i pensieri alle altre persone, finora non sono stati trovati metodi migliori […] Ma nonostante tutto il pensiero, finora, e ancora per molti anni, io spero per sempre, verrà trasmesso in questo modo, attraverso i libri. Lo scrittore migliore è il pensatore, e io negli ultimi quindici anni mi colloco in questa categoria, e spero di fare ancora molte cose come pensatore (Dinelli 2005: 195)

 

. 3 Cf. Lotman 1985: 181-5.  

 

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Inserendosi nel contesto di una letteratura ‘alta’, l’autore trova che l’unico modo possibile per trasmettere il pensiero sia utilizzare personaggi reali, mettendosi in prima persona al cospetto del giudizio del lettore, in modo tale da attrarne l’attenzione, e rendere la propria opera fattivo veicolo dei concetti da esprimere. E proprio da questa esigenza sembra nascere la cosiddetta “autobiografia mascherata” di Èduard Limonov.

Tale definizione è frutto degli studi della critica, che ha cercato di evidenziare le caratteristiche e i topoi della narrativa dell’autore russo. In particolare Karen Ryan-Hayes, in un suo studio sulla satira russa contemporanea, si sofferma sull’analisi di Èto ja – Èdička (1979), manifesto della poetica limonoviana, e ne evidenzia l’originalità con cui l’autore riesce a prendere le distanze dal modo autobiografico, rispettandone e al contempo irridendone le regole fondanti. Il punto di partenza è rappresentato dalla definizione dei metodi narrativi, solitamente basati sulla coincidenza dell’autore del testo con il soggetto dello stesso, sulla veridicità delle vicende descritte, e sulla ferma fiducia dell’autore nel valore della verità posta in forma letteraria. Così, ne risulta che il rapporto tra Limonov ed il proprio alter ego letterario è completamente sfalsato nelle sue componenti fondanti:

 

Yet the relationship between Limonov and his narrative persona Edichka is an unusually convoluted one. Not only time, space and the vagaries of the memory separate the two; in It’s me, Eddie, the assumption that the author is the subject of his own autobiography is dubious. Moreover, Limonov creates what Pascal calls an “arbitrary standpoint” from which to narrate the story of his autobiographical hero’s new life in New York […] The truthfulness of the work as autobiography is extremely problematic (Ryan-Hayes 1995: 108).

 

I procedimenti narrativi della prosa di Limonov sembrano qui superare i confini dell’autobiografia, rielaborandone i parametri e violandone il “patto”4 . Da una parte la verità autobiografica diventa un concetto relativo e mutevole in base alle necessità espressive del momento, in cui non è importante l’ordine degli eventi ma l’impatto psicologicoemozionale. Dall’altra l’alternarsi tra le sue pagine di luoghi reali, grandi figure, così come personaggi meno noti, intervallati da un uso smodato di dettagli topografici, rafforzano l’illusione di veridicità degli eventi narrati. Risulta però ben presto chiaro che l’eccesso di riferimenti reali rimanda ad un gioco letterario basato su stilemi autobiografici rovesciati. Secondo queste direttive, Ryan-Hayes trova le motivazioni della scelta di Limonov del modo autobiografico, o pseudo-tale, nella sua opera più nota, Èto ja – Èdička:

 

Among the motivations that underlie the writing of autobiography, at least three appear to apply to Limonov’s text. In the first place, It’s me, Eddie is an assertion of the significance of the author’s personality, of his existence in the face of chaos and extinction. Anxiety about the validity of the self may be the primary impetus for much modern autobiography, but Limonov’s concerns are not chiefly metaphysical […] Writing one’s autobiography may actualize the self […] Megalomania is a central feature of Edichka’s persona; he is an unabashed exhibitionist and egoist. This urge toward self-advertisement extends to his autobiographical statement. Edichka is eager to create scandal if it will call attention to himself (Ryan-Hayes 1995: 113-5).

 

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La distanza tra la voce narrante e l’io narrato, propria del modo autobiografico, è funzionale alla creazione di una dimensione satirica. Soffermandosi sull’idea centrale della narrativa di Limonov, ovvero quella visione eroica che fonda le vicende pseudo-autobiografiche delle sue opere, è possibile affermare che l’attenzione dell’autore si rivolge prevalentemente alla categoria degli outsiders, quegli uomini guidati dall’eroico istinto di contrapporsi all’ordinarietà e alla moralità, quelle schegge impazzite all’interno di quel sistema sociale sul quale invece le “grigie masse” basano le proprie esistenze. In tal senso, Limonov si pone come ideale del suo concetto di eroe:

 

 

“Я человек активный […] Но подобных мне очень мало. Я отдаю себе отчёт в том, что большинство людей во все времена нуждаются в нормальной стабильной жизни. Без разрывов, без стрессов […] Я – из другой по- роды. Мой мир по-прежнему полон чудовищ, красавиц, столкновений…извержений вулканов” (Bykov 1994).

 

Al confine tra arte e vita, l’unica via possibile è quella eroica, o per lo meno quella basata sull’edificazione del mito della personalità, attraverso la creazione della maschera dell’eroe. Come sottolinea Olga Matich (1986: 531), Limonov vi riesce combinando elementi all’apparenza in contrasto: “Contrary to the Russian literary norm, the two sides of his character are compatible; provocation and moralism coexist and do not conflict. Refusing to draw the boundary between good and evil or right and wrong along traditional lines, Edička accepts himself as he is, without the self-doubt or self-hate that has traditionally accompanied ‘underground’ behavior”.

Il processo in atto nella sua produzione artistica è quello dell’affermazione del proprio io. Negli studi su Limonov, sembra quasi rappresentare un punto di non ritorno il tentativo di definire una distinzione tra Limonov-scrittore e Limonov-personaggio, e si rischia di far ricadere ancora una volta il peso del giudizio di valore artistico su altri metri e parametri di valutazione. E così forse, come nel caso dell’approfondito studio monografico di Rogačevskij, l’unica alternativa possibile di fronte ad un personaggio del genere è la resa, a fronte di altri campi d’indagine su cui concentrare le proprie attenzioni:

 

Thus after completing a full circle I am back to square one in my attempts to distinguish between Savenko and Limonov. The only thing I can establish for certain at the end of this long investigation is that Limonov the writer and Limonov the character are not the same thing. The real Limonov invents for himself a flattering, heroic autobiography (loosely based on ‘real’ facts), because this is his way to force the publisher to accept his manuscripts and the reader to buy his books […] Although I tried hard to discover where the fine line between Limonov’s Dichtung and Wahrheit lies, it is not always possible to do so because of the inconsistency of the data and the lack of empirical evidence (Rogachevskii 2003: 51).

 

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  Ed è anche lo stesso Limonov a condurci su questo cammino: soffermarsi sulla definizione dei confini tra autobiografismo e mistificazione non potrà portare in alcun caso ad alcuna certezza a riguardo. Il percorso da prediligere consiste in un’interpretazione che segua strade diverse, e si limiti alla lettura delle gesta del suo eroe, con la coscienza di una probabile distanza tra gli eventi descritti e le loro reali controparti autobiografiche, come si evince anche dalle sue dichiarazioni: “Almost all my work is autobiographical. I don’t think, however, that this matters to the reader: it would hardly be possible for him to check [what is true and what is not]” (Rogachevskii 2003: 176). Limonov decostruisce il genere autobiografico, gioca con le sue regole e le stravolge, seminando una serie di indizi inattendibili. 

 

Narcisismo: Tecniche di auto-affermazione dell’identità 

 

La definizione di pseudo-autobiografia per la produzione narrativa di Limonov si realizza all’interno delle sue pagine attraverso un’amplificazione costante dell’accento posto sul proprio ego, quell’io ipertrofico definito da Rosanna Giaquinta nella sua analisi di Èto ja – Èdička:

 

Исключительная установка на гипертрофированное “я” лимоновских героев, ко- торые, как правило, критиками и читателями отождествляются с самим писателем, является отличительной чертой его ранних ´американских` произведений и про- изведений ´харьковского цикла` (Giaquinta 2004: 99).

 

Limonov sfrutta le sue pagine per guardarsi, ammirarsi, scoprirsi, ed affrontare ogni sua ossessione. Il confine tra l’affermazione della propria identità ed il narcisismo è strutturalmente labile, ma l’autore è pronto a nascondersi nel corso della narrazione: lo strumento utilizzato è il mondo esterno, al quale viene imputata la colpa dei suoi atteggiamenti patologici. La Russia, come l’emigrazione, la moglie Elena e New York sono i termini di confronto, che emergono sempre dal paragone con la figura di Èdička. L’autoreferenzialità sta alla base di ogni digressione sul contesto storico, sociale o emotivo, nonostante l’impressione possa essere quella di un’analisi diretta del mondo circostante, che riesce ad accattivarsi il consenso dei lettori. In Èto ja – Èdička, in particolar modo, ogni parere sul mondo esterno si sviluppa sul confronto con le condizioni proprie del personaggio autobiografico, ed allora la rabbia e la violenza dei giudizi si intensificano proprio appoggiandosi sullo sguardo narcisistico del protagonista, che solo dopo aver guardato in se stesso, riesce a rivolgersi alla realtà circostante, scaricando su di essa ogni sua ossessione o fallimento.

Queste modalità egocentriche di relazionarsi al mondo prendono forma all’interno del romanzo insinuandosi sottilmente nella narrazione, come in questo brano in cui Èdička conversa con il poeta Alëška:

 

Это все я перечислил Алешке зловредные слухи обо мне. Часть слухов пришла из Москвы, мне написали ребята, часть распространяется здесь. В русских книгах ча- сто можно встретить о том или ином поэте или писателе, что его ‘затравили’, охот- ничий, знаете, термин, употребляется для обозначения долгой погони и убийства  какого-либо дикого зверя. Со мной этот номер не проходит. Я ни во что не ставлю русскую эмиграцию, считаю их последними людьми, жалкими, нелепыми, хуже этого Джонни, посему слухи мне смешны, более того, я радуюсь им как ребенок, следуя заветам подлеца и негодяя, но блестящего, самого жестокого поэта совре- менной России – Игоря Холина: ‘Что б ни говорили, лишь бы говорили’ (Limonov 1979: 169-170).

 

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L’identità di artista di Èdička viene racchiusa nell’affermazione “in poesia sono il migliore”5 : ovvero si tratta di una dichiarazione di grandezza, che prende vita solo in rapporto agli altri, all’inferiorizzazione del mondo esterno. Ed in tal senso anche l’intento programmatico di scioccare, scandalizzare il pubblico è uno dei propulsori della sua produzione artistica: “Si parli pure male di me, purchè si parli”, ovvero la ricerca di notorietà va oltre la comprensione stessa del significato artistico delle sue opere. Questa componente si riflette anche su altri ambiti della propria auto-presentazione: l’amore per il proprio corpo e l’esaltazione della sua stessa saggezza. Ed in questo caso l’auto-riflessione narcisistica assume contorni ancor più netti:

 

[…] даже ей я не прочь был продемонстрировать лишний раз свое красивое тело в красивой позе. Я любил свое тело, что вы хотите (Limonov 1979: 195).

Только я, пристальный наблюдатель, внимательный ученый, издевающийся над со- бой тонкий Эдичка […] Как видите, Эдичка справедлив (Limonov 1979: 285-287).

 

La voce ‘schizo-narcisistica’ di Èdička sembra assumere i contorni di una vera e propria patologia in alcuni brani del romanzo, in cui il protagonista sembra incapace di dialogare con gli altri ed assume delle posizioni ferme nella convinzione di essere sempre nel giusto:

 

– Да ты нервничал, потому что я не обращала на тебя внимания,– уговаривала себя Розанн. Я же стал погружаться в дремоту, собирающуюся перейти в сладкий сон. Вы думаете, я заснул? (Limonov 1979: 196).

 

Tra biografia ed autobiografia: ‘ritraendo’ Èduard Limonov

 

Il Limonov di Carrère, premio Renaudot nel 2011, si pone in continuità con le strategie letterarie dell’autore russo, in primo luogo per quel che riguarda la difficoltà di collocazione all’interno di un canone o modo letterario. Numerose ne sono state le recensioni entusiastiche: in Francia l’hanno definita una biografia autobiografica6 , in Italia ed Inghilterra si è sottolineato il legame con la non-fiction di Capote ed il New Journalism di Tom Wolfe7 . La propensione del contesto letterario francese ad approfondire sperimen-

 

5 “Стихи вернули мне утраченное спокойствие. В этом деле я выше всех, и тут, един- ственно в стихах, я тот, кто я есть” (Limonov 1979: 73).

6 Cf. Reza 2011.

7 Cf. Valli 2012.

 

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tazioni ed elaborazioni teoriche legate alla scrittura del sé ha indotto, inoltre, a riflettere sui rapporti che intercorrono tra l’opera di Carrère e le teorizzazioni relative all’autofiction. Per sua natura genere letterario ibrido, al confine “tra il patto autobiografico e quello romanzesco”8 , l’autofiction, come schematizzata da Philippe Gasparini9 , potrebbe trovare una sua collocazione teorica per il Limonov di Carrère, nella variante della “docu-fiction”, ovvero all’interno di strategie narrative post-moderne basate su un rapporto d’ambiguità tra referenzialità e finzione, in cui l’eroe non coincide con l’autore del testo. Tuttavia, proprio riguardo all’utilizzo di una simile etichetta per la sua produzione letteraria, lo stesso Carrère ha espresso pubblicamente il suo rifiuto10. Forse la definizione di Goffredo Fofi (2012: 88), in relazione al significato delle opere dell’autore francese, ne ha descritto meglio la natura: “più che di romanzi, si tratta di ibridi necessari”.

Se da una parte la componente di cronaca (tra l’altro evidenziata nel prologo di Limonov in cui l’autore racconta come la genesi dell’ opera sia in realtà un reportage) conferisce valore di verosimiglianza ed autenticità alla narrazione, dall’altra, laddove Capote affermava l’importanza della totale assenza dell’autore nell’opera11, Emmanuel Carrère entra invece in prima persona, ad esprimere il proprio punto di vista, come evidenziato dallo stesso autore in una recente intervista:

 

Tutte le teorie di Capote sul non fiction novel mi hanno aiutato a trovare questa forma che è molto libera e nella quale mi sento molto a mio agio (…) Perché a un certo punto ho dovuto – forse addirittura costretto – passare alla prima persona singolare, cosa che Capote non fa, anzi, al contrario: lui si tira fuori, pretende una grande obiettività – che naturalmente non ha: fa finta di non essere implicato, ma non è vero, è una gran balla. Io ho scelto – o forse non si è trattato di una scelta, ripeto, quanto di un passaggio obbligato – di entrare in scena, di entrare anch’io dentro (Lima 2012: 56).

 

Quando si parla di non-fiction si pone alla base di ogni giudizio di valore un intento programmatico di fondo: “mantenere la giusta distanza” (Leogrande 2012) dall’oggetto della narrazione. Qui, Carrère ha creato un ibrido letterario in cui i confini tra realtà e racconto romanzesco si confondono e si intersecano, anche attraverso la continua entrata in scena dell’autore. Ad alimentare l’incertezza tra Dichtung e Warheit, sta anche la natura della materia narrata, ovvero quell’autobiografia mascherata di cui le opere di Limonov sono espressione12. La stessa definizione di biografia non rende il carattere dell’opera di

 

8 Cf. Piva 2011: 15.

9 Cf. Gasparini 2008: 317.

10 “Adesso si usa dire auto-fiction, considerandolo un genere nuovo. Ma io penso che sia una delle più antiche modalità di scrittura, e anche uno dei motivi per cui si scrive. Raccontare la propria vita, cosa si è imparato dalle proprie esperienze, e da quelle degli altri. Ma non sono d’accordo quando si dice che la frontiera tra fiction e non-fiction si è assottigliata” (Stancanelli 2012).

11 Cf. Plimpton 1966.

12 “Prima di tutto era stato lo stesso Limonov a scriverne [della sua vita] nei suoi libri, che sono stati la mia fonte primaria” (Borrelli 2012).

 

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 Carrère, come lo stesso autore francese ha tenuto più volte a sottolineare (“l’unica biografia vera [che abbia scritto] è quella su Philip Dick”13). Limonov sembra essere più il risultato di un incontro-scontro tra due modi di scrivere, tra due modi di narrare e narrar-si: “è un confronto serrato, una sfida tra un ‘io’ e un ‘altro’ da cui il primo si sente ossessivamente, ineluttabilmente attratto” come ha efficacemente sottolineato Carlo Mazza Galanti (2012).

In tal senso il prologo assume un valore programmatico: all’interno del suo “ritratto”, Carrère finisce per allontanarsi dal peso di quella ‘giusta distanza’, delineando i termini del “contratto di lettura”14. Le difficoltà nell’interpretare il ‘vero volto’ del Limonov-autore e del Limonov-personaggio, con cui ha avuto a che fare la stessa critica letteraria in relazione allo studio delle opere autobiografiche dell’autore russo, lo inducono a scegliere un’altra strada, ovvero a seguire il percorso di stilizzazione del Limonov autobiografico:

 

C’est le visage indèchiffrable de Limonov que je scrute maintenant, et plus je le scrute plus je prends conscience que je n’ai pas la moindre idèe de ce qu’il pense15.

Lui-même se voit comme un héros, on peut le considérer comme un salaud: je suspens sur ce point mon jugement16.

 

Carrère è affascinato dalle strategie letterarie del Limonov-autore, che viene descritto secondo un profilo affine a quello dello stesso scrittore francese: “Ce n’était pas un auteur de fiction, il ne savait reconter que sa vie, mais sa vie était passionnante et il la racontait bien, dans un style simple, concret, sans chichis littéraires, avec l’énergie d’un Jack London russe”17. Il Carrère biografo si arrende più volte nel corso dell’opera di fronte alle difficoltà nel tratteggiare il percorso di vita dello scrittore russo; è cosciente dell’impossibilità di affrontare in modo lineare una tale impresa:

 

 

Que penser de cette histoire? À première vue, qu’elle doit être vraie, et vraie telle qu’il la raconte puisque rien ne l’obligeait à la raconter. Mais c’est plus compliqué [...] je ne crois Édouard ni vil ni menteur – mais qui sait?18

 

13 Cf. Lima 2012: 55.

14 Cf. Lejeune 1975: 44.

15 Carrère 2011: 27. “Ora osservo il volto indecifrabile di Limonov, e più lo osservo più mi accorgo che non ho la minima idea di che cosa stia pensando” (trad. it. Bergamasco 2012: 24).

16 Ivi: 35. “Lui si vede come un eroe, ma lo si può considerare anche una carogna: io sospendo il giudizio” (trad. it. ivi: 29). 17 Ivi:

17. “Non era un romanziere: sapeva raccontare soltanto la sua vita, ma la sua vita era appassionante e lui la raccontava bene, con uno stile semplice, concreto, senza vezzi letterari, con l’energia di un Jack London russo” (trad. it. Bergamasco 2012: 17).

18 Ivi: 322. “Che cosa pensare di questa storia? A prima vista, che dev’essere vera, e che dev’essere come la racconta Limonov, poiché nulla lo costringeva a raccontarla. Ma la faccenda è più complicata. (…) non credo che Eduard sia né un vigliacco né un bugiardo – ma chi può dirlo?” (trad. it. ivi: 236).

 

 

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 Cependant, c’est plus compliqué que ça. Je suis désolé. Je n’aime pas cette phrase [...] Le malheur est qu’elle est souvent vraie. En l’occurrence, elle l’est. C’est plus compliqué que ça 19.

La situation, c’est que je suis son biographe: je l’interroge, il répond, quand il a fini de répondre il se tait en regardant ses bagues et attend la question suivante. Je me dis qu’il est hors de question de me taper plusieurs heures d’entretien de ce genre, que je me dé- brouillerai très bien avec ce que j’ai20.

 

“Me la caverò benissimo con quello che ho”: in questa frase, contenuta nell’epilogo di Limonov, è racchiusa l’indicazione dell’autore su quali siano le sue basi, ovvero la prosa autobiografica dell’autore. ‘Ritraendo Limonov’, Carrère dedica grande attenzione alla riflessione sul Limonov-autobiografico. Il rapporto arte-vita, come evidenziato in precedenza, accomuna i due scrittori e li rende partecipi della co-creazione di un ibrido letterario. Nel momento in cui l’autore francese descrive il difficile rapporto di Limonov con Iosif Brodskij, ai suoi occhi un’autentica bestia nera in campo letterario, emerge una programmatica dichiarazione di poetica, condivisa tacitamente da entrambi i soggetti in questione. Tornando alla terminologia lotmaniana, la necessità di auto-determinazione dello scrittore21 giace nel suo essere un “uomo con biografia”; in tal senso si è giustificati nel momento di indossare quella “maschera scelta consciamente”: “Pour se rassurer, il tâchait de se persuader que cette aura n’était pas naturelle à Brodsky, qu’il s’était fabriqué un personnage [...] mais qui ne s’en fabrique pas, de personnage? Quelle simplicité est vraiment simple?”22. Il ‘ritrattista’, al fine di delineare al meglio la figura che si propone di tratteggiare, deve entrare in prima persona in scena, ed in questo è facilitato dal fascino esercitato dal soggetto in posa. L’attrazione di Carrère per la maschera di “eccentrico solitario” indossata da Limonov è tale che all’interno dell’opera si delinea un vero e proprio crescendo di parallelismi concreti tra le vite dei due autori:

 

Il lit beaucoup. Ses auteurs préférés sont Alexandre Dumas et Jules Verne, tous deux très populaires en Union soviétique. Par ce trait, nos enfances si différentes se ressemblent23.

 

19 Ivi: 381. “Tuttavia la faccenda è più complicata. Chiedo scusa, non mi piace questa frase. Ma purtroppo spesso è vera. In questo caso lo è. La faccenda è più complicata” (trad. it. ivi: 280).

20 Ivi: 484. “In questo caso, io sono il suo biografo: io lo interrogo, lui risponde; quando ha finito di rispondere, Eduard resta in silenzio guardandosi gli anelli e aspetta la domanda successiva. Penso che non ho nessuna voglia di sorbirmi svariate ore di una conversazione del genere, che me la caverò benissimo con quello che ho” (trad. it. ivi: 353).

21 Cf. Criveller 2012.

22 Carrère 2011: 117. “Per consolarsi, Eduard cercava di convincersi che l’aura di Brodskij non era naturale, che Brodskij si era costruito un personaggio (…) ma chi non si costruisce un personaggio? Quale semplicità è veramente semplice?” (trad. it. Bergamasco 2012: 89-90).

23 Ivi: 50. “Legge molto. I suoi autori preferiti sono Alexandre Dumas e Jules Verne, entrambi molto popolari in Unione Sovietica. Sotto quest’aspetto la sua infanzia somiglia molto alla mia, pur così diversa” (trad. it. ivi: 41).

 

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 Je ne l’ai pas trouvé ennuyeux, au contraire, mais il m’a fait du mal et je n’avais pas besoin de cela. Mon idéal était de devenir un grand écrivain, je me sentais à des années-lumière de cet idéal et le talent des autres m’offensait [...] S’agissant de Limonov, ce n’est pas au premier chef son talent d’écrivain qui m’a impressionné [...] Ce qu’il racontait, c’est-à-dire sa vie, me faisait plus d’effet que sa façon de le raconter. Mais quelle vie! Quelle énergie!24

 

Il confronto tra i due ‘ego’ e la loro definitiva sovrapposizione viene portata avanti da Carrère nel corso di tutta l’opera, raggiungendo il culmine con l’entrata in scena dell’autorenarratore, che decide di assumere le vesti del suo personaggio. Il resoconto dell’arrivo a Parigi dell’autore russo, che coincide con l’inizio del suo successo letterario con la pubblicazione di Èto ja – Èdička nel 1979, è l’occasione per Carrère di ri-crearsi secondo la maniera di vita di cui il Limonov-autobiografico è espressione, come si evidenzia anche dalle dichiarazioni dell’autore francese: “Limonov, invece, è l’incarnazione del sogno dell’avventuriero […] Certo, è molto diverso da quello che sono e tuttavia qualcosa di lui in parte mi riguarda. Ho bisogno, insomma, di indovinare qualcosa dei miei personaggi che sento esistere in me stesso” (Borrelli 2012). Il distacco dalla narrazione della storia del personaggio letterario non assume contorni netti: pur raccontando-si, Carrère mantiene lo stile e le pose dell’eccentrico solitario. In prima persona, l’autore francese racconta della sua storia in Indonesia con Muriel (tra l’altro già materia letteraria del suo primo romanzo L’amie du Jaguar, 1983), sovrapponendosi alle vicende appena narrate relative alle avventure americane di Limonov e della sua compagna Tanja. Così alla storia di passione ed abbandono dei due emigrati a New York, si sovrappone la storia d’amore a Bali tra il Carrère-autobiografico e Muriel. La gioia e la delusione che ne conseguono sono le medesime. L’arrivo in un luogo “esotico” ha lo stesso effetto nell’uno e nell’altro. Anche lo sguardo affascinato di Limonov sul gran mondo della società americana e le riflessioni entusiaste di Carrère sulla vita bohémienne degli occidentali in Indonesia assumono proporzioni analoghe, pur nella loro specularità.

È forse l’epilogo a condurci alla definitiva ammissione dell’autore francese di interferenza tra soggetto-narrante e materia narrata. La sezione si apre con l’autore francese che si confronta con il figlio Gabriel sul possibile finale da scegliere: è proprio qui che il rapporto tra finzione e realtà viene definitivamente sfalsato. Il dialogo con il figlio (peraltro sceneggiatore) è un dialogo sull’immaginazione, ed il potere che quest’ultima ha di creare e determinare la realtà. Le parole di Gabriel riassumono le potenzialità dell’atto creativo: “Bien. Prenons le problème autrement. Ce serait quoi, pour toi, la fin idéale? Je veux dire: si c’était toi qui décidais?”25. Ma alla finzione letteraria si contrappone subito la realtà, rientran-

 

24 Ivi: 220. “Non l’ho trovato noioso, tutt’altro, ma mi ha fatto male, e non era quello di cui avevo bisogno. La mia ambizione era diventare un grande scrittore, ma mi sentivo lontano anni luce dal realizzarla, e il talento altrui mi oltraggiava […] dato che si trattava di Limonov, la prima cosa che mi ha colpito non è stato il suo talento di scrittore […] Quel che raccontava, ossia la sua vita, mi impressionava più del modo in cui lo raccontava. Che vita! Che energia!” (trad. it. ivi: 165-6).

 

25 Carrère 2011: 486. “Va bene. Consideriamo il problema da un altro punto di vista. Quale sarebbe per te il finale ideale? Voglio dire: se dovessi decidere tu” (trad. it. Bergamasco 2012: 354).

 

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 do nel progetto narrativo di creare un’atmosfera di verosimiglianza. Ovvero l’autore cerca nuovamente la risposta nel personaggio della sua opera: “Et lui, Limonov, qu’en pense-til?”26. All’interno del gioco letterario di interferenze, è illuminante la dichiarazione finale di Carrère: vista l’impossibilità di determinarne un finale, così come vorrebbe il creatore della materia letteraria, è allora lui ad entrare in scena e ad affermare la propria presenza: “J’en aurais envie, à sa place. J’en ai envie”27.

Intorno al gioco letterario in atto tra i due “io”, la necessità di non violare il patto tra finzione letteraria e verosimiglianza induce Carrère a prendere una strada ben determinata: definire una cornice ‘storica’ della Russia che sostenga ed esalti l’impressione di veridicità del “ritratto” limonoviano. Come nella prosa del Limonov-autore, l’attenzione nel fornire riferimenti reali e fonti valide a reggere l’illusione di veridicità degli eventi narrati diventa una componente fondamentale. Da questo approccio, nasce quello sguardo sulla Russia da Occidente, di cui il Carrère-narratore si fa portatore: in una prospettiva speculare al Russkij Kovčeg (L’Arca Russa, 2002) di Aleksandr Sokurov, Carrère realizza un suo piano-sequenza in soggettiva sulla storia recente della Russia, interpretando la voce fuori-campo dell’occidentale, che aggirandosi per le vie intraprese dal personaggio Limonov, suo unico interlocutore, ne osserva affascinato i riflessi che il prisma della sua vita avventurosa sprigiona.

Rovesciando gli equilibri del lungometraggio di Sokurov, che sembra condividere la medesima ambizione artistica a “reinventare la realtà al di là dello specchio”28, Carrère interpreta il marchese De Custine, ora nobilitato dal potere della voce narrante, e dialogando con Limonov affronta il rapporto di amore-odio verso la Russia, ed il suo relazionarsi con l’Europa contemporanea. In un legame di reciprocità, il personaggio Limonov, nella sua indefinibile autenticità riflette e viene riflesso dalla storia recente di un’indecifrabile Russia per l’occhio occidentale.

Lo scorso Dicembre, la pubblicazione dell’edizione russa di Limonov, curata da Ad Marginem, ha scatenato forti critiche29 proprio per la sua ‘cornice’ di indagine storica. È interessante che tali proteste siano state sollevate da uno scrittore come Zahar Prilepin30 (1975), ex membro del Partito Nazional Bolscevico di Limonov, veterano della guerra in Cecenia, nonché anch’egli personaggio del Limonov di Carrère:

 

26 Ivi: 487. “E lui, Limonov, che ne pensa?” (trad. it. ivi: 355)

. 27 Ivi: 488. “Al suo posto, io ne avrei voglia. Ne ho voglia” (trad. it. ivi: 356).

28 “C’è un primo livello in cui, in modo abbastanza lineare, seguo lo svolgersi della vita di Limonov, il puro dato biografico. A questo si sovrappone un secondo piano che riguarda il mio rapporto personale con la sua avventura; e c’è poi un terzo livello che ho seguito via via che il romanzo si sviluppava, e che mette al centro la storia della Russia. Il modo in cui ho intersecato questi tre piani somiglia molto alla tecnica di un montaggio cinematografico” (Borrelli 2012).

29 Cf. Šabaeva 2013, Chasavov 2013.

30 L’edizione italiana delle sue opere è curata da Voland: Patologii (Patologie, 2004), San’kja (2006), Grech (Il peccato, 2007).

 

 

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Dans ses livres [...] il parle de la vie quotidienne dans la province russe, des petits boulots, des cuites avec les potes, des seins de la femme qu’il aime, de son amour inquiet, émerveillé, pour ses enfants. Il dit la cruauté des temps mais aussi les moments de pure grâce que réserve une journée quand on est attentif31.

 

“Ebbene, ecco che cosa racconta Zachar Prilepin”32. Con queste parole, Carrère rilegge San’kja (2006) di Prilepin, al fine di narrare le vicende del partito (attualmente fuorilegge) fondato da Limonov, riportandoci nuovamente su quella sottile linea tra finzione letteraria e realtà: tra il Carrère autore e il Carrère narratore, la biografia di Limonov e Limonov come personaggio autobiografico, il Prilepin reale ed il personaggio dei suoi romanzi.

Nella sua recensione a Carrère, Portret evropejca na fone russkih kentavrov (Ritratto di europeo con centauri russi sullo sfondo), pubblicata su Svobodnaja Pressa lo scorso 8 Dicembre, Zahar Prilepin definisce l’opera un “tentativo di capire questi strani russi33” estremamente pretenzioso. Il Carrère cronista, in effetti, emerge con decisione nel tratteggiare i passaggi importanti della storia russa, cui è legato il suo personaggio, rielaborando una grande mole di studi. In particolare, la ‘cornice’ storica sulle vicende di Limonov si trasforma in pretesa di chiarire i punti più oscuri della recente storia russa al lettore occidentale, nel momento in cui l’autore francese si concentra sulla descrizione degli effetti della perestrojka e dell’odierna realtà del mondo post-sovietico. Ed è proprio la presunzione di Carrère nell’esprimere le proprie riflessioni sulla Russia ad ‘offendere’ Prilepin (2012):

 

 

“Мне обидно за другое: эта необычайная легковесность многих представлений Каррера о России – она по за- падным меркам вовсе и не легковесна. Все их очаровательные штампы и кошмарные предрассудки, касающиеся нас – это и есть интеллектуальный европейский тренд”.

 

La critica alla leggerezza dell’occhio orientalista34 occidentale, che porta Carrère ad accostare Limonov perfino a Putin, è da Prilepin ricondotta all’assenza di una reale ricerca delle fonti su Èduard Savenko. Il percorso dell’autore francese è definito come una “rivisitazione letterale dei libri di Limonov”35, in cui Carrère non opera alcuna distinzione tra l’eroe letterario ed il vero Limonov36: il rifiuto dell’autore di Limonov di definire il proprio

 

31 Carrère 2011: 382-3. “Nei suoi libri [...] Prilepin parla della vita quotidiana nella provincia russa, dei lavoretti saltuari, delle sbronze con gli amici, dei seni della donna che ama, del suo amore apprensivo e pieno di meraviglia per i figli. Racconta la crudeltà dell’epoca ma anche i momenti di pura grazia che può riservare una giornata quando non si è distratti” (trad. it. Bergamasco 2012: 281)

32 Bergamasco 2012: 281. “Or, voici ce que raconte Zakhar Prilepine” (ed. or. Carrère 2011: 383).

33 “Он хотя бы сделал попытку понять ‘этих странных русских’” (Prilepin 2012).

34 Cf. Parisi 2012.

35 “Дальше идет порой почти дословный пересказ книг самого Лимонова (поначалу подробный, потом все более поспешный), что любого читателя Эдуарда Вениаминыча, конеч- но, несколько удручает.” (Prilepin 2012) 

36 Nota Tat’jana Šabaeva: “Встречайте ‘Лимонова для французов’ [...] хуже, что в угоду европейской публике Каррер пользуется самыми примитивными штампами. Ельцин – свобода. Советский Союз – тюрьма, где угнетались малые народы. Русские, в особенности же православные, – антисемиты” (Šabaeva 2013)

 

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  lavoro una biografia è, secondo Prilepin, una chiara volontà di declinare ogni responsabilità sulla veridicità della materia narrata.

Tra realtà e finzione letteraria. Sebbene gli strali della critica russa abbiano una loro fondatezza, è forse l’ambiguità dello stesso genere auto-biografico, come testo prettamente letterario, a prestare il fianco a tali critiche, come sottolineato da Lejeune37. Le parole del Limonov-autore hanno il potere di suggellare ogni ulteriore riflessione sul rapporto tra arte e vita nel ritratto di Carrère, coscienti del significato e del valore di quel rappresentare/si di cui è espressione la creazione letteraria: “Ma un libro è un libro. C’è del vero e c’è del falso. Lasciamo perdere i dettagli [...] Perché contraddire o fare precisazioni su Carrère? Mi ha reso famoso. Va bene così” (Lombardozzi 2012: 59-60).

Come ha puntualmente evidenziato Marco Missiroli (2012: 56), “L’identità senza fine di Eduard è l’esasperazione del narcisismo di Emmanuel”. E così le ultime opere del Limonov-scrittore spaziano dalla creazione di un mondo speculativo religioso (Illuminationes, 2012), alla narrazione dei propri anni post-detenzione (V Syrach, 2012), per finire con i trattati di politica contemporanea (Propovedi. Protiv vlasti i prodažnoj oppozicii, 2013). In particolare V Syrach è fortemente legato al percorso di narrazione autobiografica dell’autore russo. Uscito a pochi mesi di distanza dall’affermazione del successo del libro di Carrère, ne è la logica continuazione: racconta la sua esperienza successiva al periodo di detenzione, osservata dal nuovo appartamento di Limonov sulla via Nižnaja Syromjatničeskaja, da cui deriva il “V Syrach” del titolo, zona industriale di Mosca, che funge da cornice spaziale e temporale di un periodo in cui la ‘civilizzazione dell’industria’ avanza, riflessa dallo sguardo dell’io limonoviano. Ancora una volta ritorna il dilemma interpretativo tra realtà e finzione, storia soggettiva e comune cornice storica. Nell’ultima parte della prefazione a V Syrach, ci pensa allora lo stesso Limonov a definire i tratti ed i confini artistici del suo lavoro autobiografico, dichiarando: “Ну конечно, это роман, нo роман современный” (Limonov 2012: 7). L’intenzione autoriale delinea uno spazio autobiografico, in cui l’unica certezza può essere trovata nella coscienza del ruolo dell’arte verbale, in grado soltanto di ri-creare la vita vera. In tal modo, l’operazione di Emmanuel Carrère è analoga a quella del ‘biografo’ nabokoviano di Sebastian Knight, e l’esito non può che esserne lo stesso: “Tutti tornano alla loro vita di ogni giorno [...] ma l’eroe rimane, perché, nonostante i miei sforzi, non posso venire fuori dalla mia parte: la maschera di Sebastian mi rimane incollata al viso, la somiglianza non potrà essere lavata via. Io sono Sebastian, o Sebastian è me, o forse siamo tutti e due qualcuno che né l’uno né l’altro conosce” (Nabokov 1992: 222).  

 

37 “Dans cette manière que nous avons d’envisager et de raconter notre vie, le modèle romanesque joue un grand rôle, mais surtout sous la forme dégradée qu’est le genre très ambigu de la biographie, c’est-à-dire le récit de la vie de quelqu’un qui a existé, fait par un narrateur qui se pose en historien. On soupçonne le biographe d’erreur, de partialité, de déformation: mais jamais on ne soupçonne la forme meme de son récit, et son ordre, d’être déjà, par leur simple existence, une interprétation” (Lejeune 1975: 198).

 

 

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Abstract 

Marco Puleri :

Limonov by Emmanuel Carrère. The ‘Portrait’ of an Autobiographical Hero :

 

The author analyses the narrative strategies adopted by Emmanuel Carrère in his critically acclaimed work Limonov. Since the different critical approaches, focusing on the definition of a hybrid auto-biographical genre, it is stressed the connection between the autobiographical techniques adopted in his works by Edward Limonov and their influence on Carrère’s ‘portrait’. In Limonov we can observe the dialogue between the narrator and his hero, which represents a moment of reflection on the narrative relationship between reality and fiction in the auto-biographical genre. The author presents the specific devices adopted by the given authors, in order to show their complementary relationship in the process of literary ‘construction of the self ’.