2005
"Lo scrittore migliore è il pensatore"
Dialogo con Eduard Limonov su letteratura
e politica.
eSamizdat 2005 (III) 2-3, pp. 193-198
— Finalmente le sue opere cominciano ad apparire anche in traduzione italiana: nel 2004 sono usciti Dnevnik
neudacnika [Diario di un fallito, traduzione di M. Sorina], Kniga vody [Libro dell'acqua, traduzione di M. Cammini] e, nel 2005, Podrostok Savenko [Eddy-baby ti amo, traduzione di M. Falcucci]. La casa editrice
Salani ha già acquistato i diritti per Torzestvo metafìziki [Il trionfo della metafisica], è vero?
— Sì, siamo in attesa di ricevere
il contratto e i soldi, ma penso che ormai sia deciso.
— Al di là della sua opera, su riviste e giornali italiani scrivono spesso di lei scrittori e slavisti.
Quali sono, secondo lei, le ragioni di questo rinnovato interesse in Italia per la sua opera e per la sua persona?
— Credo che sia soprattutto a causa della mia attività
politica e di una certa attenzione che viene rivolta al partito nazional-bolscevico di cui io sono a capo.
— Perciò è un interesse legato alla politica…
— Per me è difficile giudicare, ma questa è la mia opinione.
— Tranne rari casi, l'immagine
proposta da chi si occupa in Italia di Limonov è fortemente connotata in senso scandalistico. Il discorso su Limonov, più che un'analisi dell'opera dello scrittore e del contesto in cui tale opera andrebbe collocata, si trasforma quindi in una
serie di accuse in perfetto stile politically correct: a parte un'ipertrofia dell'ego (peraltro non ho conosciuto scrittore che sia indenne da questo peccato), si parla di "violenza", fascismo", "pedofilia". Leggendo questi giudizi, mi e venuto in mente
l'aforisma di Oscar Wilde: "Al mondo c'è soltanto una cosa che è peggio dell'essere chiacchierati: il non esserlo". Mi sembra che questo si adatti bene a lei, che ha fatto della sua vita un'opera d'arte. Lei la pensa come Wilde?
— No, io ho vissuto e ho compiuto determinate azioni, azioni piuttosto risolute, e dai primi anni dell'infanzia e della giovinezza sono sempre stato una persona abbastanza decisa, una persona di carattere…
in base ai ricordi degli altri , una persona, se me lo permette, brillante e ricca di talento. Penso quindi di meritare l'attenzione che mi viene rivolta in Russia e che, a suo tempo, mi veniva rivolta in Francia, e che spero adesso mi verrà rivolta
in Italia.
L'atteggiamento che la gente ha nei miei confronti può essere paragonato a quello verso Pasolini. Ho letto molti bei libri in francese su Pasolini
e conosco molto bene la sua opera. Secondo me è possibile, con una lieve forzatura, paragonare la mia vita a quella di Pasolini : un uomo-scandalo, una persona di grande talento che veniva accusata continuamente di tutti i peccati possibili, non
importa se fossero veri o falsi.
Io non ho intenzione di difendermi da alcuna accusa, secondo il mio metro di giudizio sono una persona assolutamente sana e normale, piuttosto coraggiosa,
che ha compiuto delle azioni e che per questo è finito in prigione, e ha partecipato a varie guerre. Perciò oggi la mia carriera politica di leader di un partito estremista è inconsueta agli occhi dell'Europa del XXI secolo, ma anche la
Russia è un paese inconsueto, e se mi accusano di violenza, allora anch'io posso allo stesso modo rimproverare il potere russo della violenza che viene esercitata nei miei confronti.
Il potere russo è un potere autoritario, zarista, un potere ottocentesco, che intenzionalmente, senza addurre argomentazioni, non permette al partito nazional-bolscevico di entrare nella grande politica. Se ne potrebbe parlare a lungo, ma senza
dubbio io non sono un fascista. I fascisti hanno cessato di esistere nel 1945 e da allora sono sorti nuovi fenomeni nel mondo politico, sia in Italia che in Russia, sono nate nuove formazioni politiche.
Accusarmi di pedofilia è ancora più stupido, non riesco a capire bene su quali basi. Comunque mi fa piacere l'attenzione dei critici, degli editori e, spero, dei lettori italiani, e se vorranno leggermi anche in futuro, che mi chiamino
pure come desiderano, l'importante è che mi leggano, è l'unica cosa che mi serve da parte loro.
Io penso, più di chiunque altro scrittore russo di oggi, di meritare
l'attenzione del pubblico europeo, perché sono uno scrittore comprensibile agli europei, sotto tutti gli aspetti, anche se loro mi comprendono in modo non del tutto esatto, anche nella stessa Italia, ma va bene anche così.
— Un fenomeno piuttosto diffuso che risulta piuttosto diffìcile da spiegare è il rispetto per la sua figura di scrittore che ho trovato, qui a Mosca, anche in persone
appartenenti a ceti bassi, chiamiamoli "popolari". Fin dai tempi di Eto ja, Edicka [Sono io, Edicka], la sua scrittura è contraddistinta da una franchezza, sia nei temi che nel linguaggio, che potrebbe disturbare la sensibilità puritana
di chi si è formato in epoca sovietica. Ma forse, paradossalmente, questa ammirazione è suscitata proprio dall'elemento "sincerità" (o almeno dall'effetto di "sincerità" che la sua scrittura produce sul lettore). Che cosa ne pensai
— Be', conquistarmi il rispetto della gente in Russia non è stato facile, ci ho messo una decina d'anni. Come accade di solito, ogni fenomeno nuovo all'inizio viene deriso. Anche
i miei primi tentativi di fare politica sono stati accolti così, il mio partito non è stato preso sul serio finché non ha dato prova di spirito di sacrificio e di coraggio, finché non ha dimostrato di essere un partito assolutamente
nuovo dal punto di vista politico (non può essere definito né di destra né di sinistra).
E ora che in Russia non è più possibile praticare una politica
parlamentare, ci sono sempre più partiti politici che guardano con interesse al nostro partito, assumono la sua tattica, imparano da noi. E il fatto che abbiamo 49 prigionieri politici, e sto parlando di un dato concreto, che sono rinchiusi nelle prigioni
e nei campi di lavoro russi, anche questo ci fa ottenere il rispetto della gente. Intendo cioè il fatto che noi siamo la prima organizzazione politica in Russia che non si limita alle chiacchiere, ma fa delle cose concrete. Noi abbiamo protestato contro
il furto ai danni della popolazione nell'agosto dell'anno scorso…
— La questione delle pensioni?
— Sì, i nostri ragazzi hanno occupato in modo pacifico il ministero della sanità, compreso l'ufficio di Zurabov, e c'è una famosa foto in cui il ritratto di Putin vola dalla finestra dell'ufficio, scattata
per miracolo dai fotografi della stampa, e per questo hanno dato a ognuno cinque anni di carcere. Ecco perché ci rispettano.
Ora si sta svolgendo nel tribunale Tverskoj un processo a trentanove
nostri compagni, e anche per questo ci rispettano, perché si tratta di giovani coraggiosi e disperati, giovani intellettuali, come nell'Ottocento (lei certamente ricorderà i populisti che, nell'Ottocento, erano contro lo zarismo), che si sono
presentati nell'anticamera dello studio del presidente e hanno espresso la loro opinione sul presidente, l'hanno invitato a dimettersi e hanno elencato i motivi della loro richiesta.
Ed ecco che per questa azione
non violenta e, lo sottolineo, pacifica, vengono illegalmente processati per disordini pubblici, stanno già da dieci mesi in prigione e rischiano di restarci. Perciò il rispetto ce lo siamo guadagnato a duro prezzo.
— Io non intendevo solo questo, avevo in mente anche quella gente che non si interessa di politica, i tassisti per esempio. Io ho l'occasione di parlare con persone diverse, dicono che
non capiscono niente di politica oppure che non sono d'accordo con le sue idee, ma affermano che Limonov è un grande scrittore, la sua è grande letteratura, ha scritto grandi romanzi. Mi è sembrato strano, perché nella mia esperienza
ci sono molte persone che ancora oggi sono turbate dal turpiloquio o da alcuni temi scabrosi. C'è un certo puritanesimo nell'educazione sovietica che sopravvive fino a oggi, e nonostante questo la sua figura di scrittore suscita ammirazione.
— Evidentemente sono riuscito a convincere la gente, le persone hanno capito che sono uno scrittore, certo di tipo non tradizionale, ma per loro io sono comunque uno scrittore serio,
che parla di cose serie, della vita, della morte, della prigione, in fin dei conti anche dell'amore, ma seriamente. Non è roba inventata.
Non scrivo nello stile di una prosa ornamentale, o
del postmodernismo, lo si chiami come si vuole, io non sono uno scrittore alla moda. Ed è questo ciò che la gente è abituata a considerare letteratura, letteratura legata alla vita, che parla della vita. Evidentemente la gente semplice
la pensa così. E poi penso che anche la mia biografia abbia il suo peso, perché la gente vede che l'autore scrive come vive, e questo evidentemente suscita un senso di rispetto.
— Un suo racconto, Quando i poeti erano giovani [Kogda poety byli molodymi], compare anche in una recente antologia di racconti russi del '900 a cura di Vladimir Sorokin. Sorokin sostiene che il '900, per la letteratura
russa, è stato caratterizzato della prepotente entrata nella scrittura della corporeità. Il suo contributo, in questo senso, è stato fondamentale. Qual è secondo lei il rapporto fra letteratura e corporeità?
— Io sono lontano da disquisizioni teoriche, anche se ho scritto e continuo a scrivere vari saggi, a mio parere abbastanza arguti, sui temi più disparati. Saggi sulla carne, per
esempio, sulle unghie, e cosi via, in cui propongo uno sguardo settecentesco, uno sguardo inedito su cose assolutamente semplici, sui tipi di soldi, per esempio. Con questa corporeità penso di esserci nato, e di non averla attinta dalla letteratura,
è una cosa che mi è sempre riuscita facile e automatica, non posso immaginarmi in modo diverso, ho provato sempre avversione per le astrazioni… anche Dio, è sempre vicino, da qualche parte, in carcere, per esempio… anche
l'eternità era sempre vicina, io contavo i mattoni del muro, e questo forse era dio, o qualcosa del genere.
La prigione era molto bella, specialmente quando stavo nel carcere di Lefortovo e
la sera mi riportavano in cella, prendevo atto di questa bellezza e le mie sofferenze per un po' si attenuavano, e tutto questo è corporeità, io rimiravo il pavimento, i mobili, e mi sembravano mobili di Philip Stark. Evidentemente tutto questo
è corporeità. Certo, ognuno comprende queste cose in base al proprio grado di educazione e istruzione. Io le afferro al volo, in modo assolutamente intuitivo.
— Lei
ha abbandonato la fiction, la letteratura in senso stretto, è vero?
— In senso stretto, sì, ho abbandonato quel tipo di letteratura in cui si inventano
dei personaggi, io ho cominciato gradualmente a usare me stesso come personaggio delle mie opere, all'inizio timidamente e poi in modo sempre più disinvolto, e infine ho rinunciato a questo intermediario fra me e il lettore. I miei ultimi libri appartengono
cioè al genere memorialistico o saggistico, sono tutti diretti, non c'è più alcun intermediario.
— E questo è legato al
fatto che la complessita del mondo contemporaneo, e di quello russo in particolare, possa essere restituita solo attraverso l'autobiografìa o una sorta di saggistica autobiografica, per così dire?
— Sì, io penso che i personaggi inventati abbiano sempre irritato il lettore. Il romanzo come genere letterario appartiene all'epoca dell'ascesa della borghesia al potere, i primi romanzi sono
quelli di Balzac in Francia, Dickens in Inghilterra, sono opere di genere coscientemente romanzesco, e questa tradizione non è durata a lungo. Adesso, a mio parere, questo genere letterario sta morendo. Anche in passato si è parlato della morte
del romanzo, pure Dostoevskij ne ha parlato, ma evidentemente questi erano solo presentimenti, del resto assolutamente fondati, che il romanzo alla fine sarebbe morto.
Oggi a mio parere è assolutamente
impossibile usare un intermediario sotto forma di personaggi inventati, assurdi, però questo non significa che non saranno usati a livelli più bassi, per dire, che gli autori di gialli non lavoreranno con questo genere. Lo faranno, ancora per
cento, per duecento anni. Che lo facciano pure, non so che dire. Solo che per me non è una cosa interessante.
Tuttavia la letteratura alta è pensiero, e la bellezza di un libro, di questo
mattone di pagine di carta, è che resta il mezzo migliore per trasmettere i pensieri alle altre persone, finora non sono stati trovati metodi migliori, nessuna conquista dell'era del dopo Gutenberg ha saputo fare meglio. Certo, si sono allargati gli
orizzonti. I libri sono stati ripuliti di inutili descrizioni di paesaggi, molto hanno fatto la fotografia, il cinema e la televisione. Ma nonostante tutto il pensiero, finora, e ancora per molti anni, io spero per sempre, verrà trasmesso in questo
modo, attraverso i libri.
Lo scrittore migliore è il pensatore, e io negli ultimi quindici anni mi colloco in questa categoria, e spero di fare ancora molte cose come pensatore.
— Ci sono scrittori contemporanei, russi e non, che, al di là delle differenze con la sua visione del mondo, lei legge con interesse?
— No, io non leggo, e non lo dico per superbia. Forse dipende dal fatto che semplicemente non conosco tutti gli scrittori, ho poco tempo per la letteratura, per la lettura, ma quando ho tempo preferisco
leggere libri che parlano di fatti, anche quando ero in prigione leggevo libri della collana "Vita di Uomini Eccezionali". Questi libri, anche se scritti male, sono libri su persone reali, anche quelli che erano scritti male per me erano più interessanti,
e come pensatore mi hanno dato di più, di quanto possa darmi una pila di romanzi.
— Dopo la fine del cosiddetto postmodernismo russo, che a suo
modo ha tentato di demistificare le mitologie del recente passato, in ambito culturale si nota un certo desiderio di tornare a valori stabili. E siccome creare nuove mitologie è diffìcile, spesso si finisce per estetizzare proprio quel passato
che in precedenza era stato messo in discussione. In particolare è molto forte la tendenza, anche in ambito sociale e politico, di una sensibile nostalgia per l'Urss, vissuta però in modo piuttosto superficiale: l'Urss è diventata un brand,
un marchio famoso che fa vendere qualsiasi prodotto culturale. Di questo fenomeno io noto principalmente l'aspetto regressivo, la ricerca nel passato di un paradiso perduto che in realtà non c'è mai stato: un modo insomma per non affrontare la
problematicità del presente. Qual è la sua opinione al riguardo?
— Io ritengo di scegliere l'oggetto della mia riflessione di scrittore,
l'oggetto di un libro, in base ad altri criteri, criteri, diciamo, estetici. Già agli inizi degli anni '80 ho scritto la trilogia U nas byla velikaja epocha [Abbiamo avuto una grande epoca], Podrostok Savenko [L'adolescente
Savenko, in Italia tradotto come Eddy-baby ti amo] e Molodoj negodjaj [Un giovane farabutto], il primo sull'epoca del dopoguerra, il secondo su quella chrusceviana, e il terzo sulla metà degli anni '60.
Avevo scelto queste epoche non perché riguardassero i tempi sovietici, infatti a quel tempo l'Unione sovietica era ancora viva, ma mi ero proposto un compito di tutt'altra specie: volevo
in qualche modo fissarla nella memoria, fotografare e fermare l'attimo. La vita del dopoguerra, mio padre e mia madre giovani, io che ero un bambino, e poi, più tardi, un adolescente, un giovane.
In me c'era la smania di misurarmi con i classici romanzi di formazione. E l'ho fatto, l'ho fatto con sincerità, e a mio parere ne sono venuti fuori dei libri abbastanza brillanti. Completamente al di fuori di questo contesto, perché allora non
c'era ancora la nostalgia per l'Unione sovietica, l'Unione sovietica era viva e vegeta…
il romanzo che mi piace di più è quello più breve, Abbiamo avuto una grande
epoca, è venuto fuori un romanzo originale, bello, per certi versi ricorda alcuni film di Fassbinder, un romanzo sul dopoguerra, sulle belle spalline dei soldati, in questo romanzo c'è un po' di tutto… non ci sono le tenebre, è
smagliante come una scatolina laccata di Palech: i soldati, alti e belli, la musica, perfino i funerali sono belli, è tutto molto affascinante, e io stesso mi sono stupito di come il mio sguardo infantile sia riuscito a fotografare l'immagine di una
grande epoca.
E stata veramente una grande vittoria quella del 1945, forse per l'Italia è stata una sconfitta e a essa sono legati altri sentimenti, ma in Russia è stato
cosi. Però anche nell'affrontare questo tema non c'è il desiderio di mostrare la verità storica, ma solamente la percezione soggettiva dell'artista. Io sono soddisfatto del risultato di questi libri, anche se ora, come lei sa, non scrivo
più cose del genere.
— Sì, però qual è il suo giudizio su quello che sta accadendo adesso?
— Vede, io giudico secondo le categorie cattivo-buono, oppure molto buono, geniale. Seguo poco la letteratura russa, come ho già detto, il mio tempo è occupato dalla politica
e dalla lotta contro il Cremlino. E il Cremlino lotta contro di noi. Ci picchia. Ci reprime, ci mette in prigione, si sono tutti infervorati in questa attività, anche noi. Perciò manca il tempo per la letteratura.
— Ma non si tratta solo di letteratura, basta accendere il televisore per vedere quest'immagine…
— Tutto questo è osceno e volgare, non mi piacciono i film sulla Grande guerra patriottica in cui attori contemporanei dall'aspetto pasciuto interpretano falsamente l'amarezza della Seconda guerra mondiale, che, dopotutto, è stata
una grande tragedia, e mi fa schifo vedere questi attori ben pasciuti, mi fa schifo vedere le feste organizzate dal nostro presidente, a mio parere disgustose, perché oggi non esistono vittorie e si celebrano con opulenza, oscenamente, le vittorie del
passato.
Io sono una persona sensibile a queste cose, tutto questo per me è estremamente irritante e ritengo… sì, io defìnerei queste persone i disertori di una grande epoca,
che si appropriano indebitamente delle vittorie altrui. Anche queste tendenze mi fanno schifo. Solo una persona ricca di talento può mettersi a fare queste cose senza insudiciarle, senza rovinarle. Mio padre era bianco come un cencio durante la guerra,
e infatti proprio così appare in una fotografia, e oggi rappresentare lui e i suoi amici, e quella strage, è impossibile.
— Mi
hanno raccontato di una domanda che è stata posta recentemente ad Aleksej Venediktov, il direttore della radio privata Echo Moskvy, sulla libertà di espressione nella Russia di oggi. La domanda suonava piti o meno così: lei parla sempre
di mancanza di libertà, di democrazia, però il suo lavoro glielo lasciano fare. E lui avrebbe risposto: sì, me lo lasciano fare, così a chi li accusa di non essere democratici, possono rispondere: "vedete, se c'è Venediktov,
vuol dire che in Russia c'è la democrazia". Secondo lei è così che si può spiegare il fatto che in Russia un certo tipo di letteratura, come quella che scrive lei, nonostante possa risultare scomoda al potere, continua a essere
pubblicata?
— Penso di no, nel mio caso non è così, di tanto in tanto fanno pressione su alcune case editrici che interrompono la pubblicazione
dei miei libri. Ci sono diversi esempi. La casa editrice Jauza a cui, con una telefonata, hanno proibito di pubblicare le mie opere, e Ultrakul'tura, che ha rifiutato alcuni miei libri. C'è un mio libro, una raccolta di lezioni intitolata Drugaja
Rossija [Un'altra Russia], che, nonostante vada a ruba, è stato già rifiutato dalla seconda casa editrice. Prima è stato pubblicato, poi, quando hanno iniziato a ristampare la prima edizione, dall'amministrazione presidenziale
è giunta una telefonata che ha bloccato tutto.
In Russia abbiamo un secondo governo segreto, l'amministrazione presidenziale, che ha il controllo su tutto. Per fare un esempio, recentemente
sono stati realizzati, su commissione, tre grandi film per la televisione contro il partito nazional-bolscevico. Due sono stati già trasmessi, uno su Tvc e l'altro sul canale Rossija. Sono film su commissione, che mostrano che noi siamo dei mascalzoni,
dei fascisti, film totalmente falsi. E stato realizzato pure un film per il canale NTV, ma prima che andasse in onda è stato visionato da Vladimir Surkov, il primo vicepresidente dell'amministrazione presidenziale, che non ne è rimasto contento,
e ora lo stanno girando di nuovo. Queste sono le norme dello stato poliziesco attuale, uno stato che sta assumendo in parte le caratteristiche di un classico fascismo di stato, ma solo in parte, almeno per ora.
In Russia si conservano ancora alcune libertà politiche, la spiegazione più diffusa è che siccome i nostri dirigenti politici attuali hanno conti in banche estere, e in caso di emergenza sarebbero costretti a fuggire
in occidente, nonostante tutto continuano a osservare alcune norme pseudodemocratiche.
Noi abbiamo una prigione come Lefortovo, dove io sono stato rinchiuso, in cui è occupato solo un terzo
delle celle, il resto delle celle sono vuote (ricordo ai lettori italiani che Lefortovo è il carcere dei servizi speciali di sicurezza). Perciò da noi ci sono ancora segni non dico di libertà, ma diciamo, per esempio, di un'editoria normale,
oppure ci sono dei giornali che non sono ancora stati soppressi, ma di questi esempi se ne trovano sempre di meno.
— E per finire: ricordo che nell'intervista
che ha rilasciato alla scrittrice italiana Camilla Baresani per il Sole 24 ore ["Penna e Kalashnikov", Domenica del Sole 24 ore, 14.12.2003, p. 30] lei ha raccontato che, durante le sua permanenza a Roma, ha seguito alcune lezioni di Angelo Maria Ripellino.
Cosa ricorda di quella esperienza?
— Ricordo che lui sì mostrò benevolo nei miei confronti, nel senso che io ero ancora un perfetto sconosciuto,
un ragazzo, e gli avevo portato un libro tradotto in inglese che si intitolava Moj nacional'nyj geroj [Il mio eroe nazionale], un libro scritto in uno stile ispirato alla pop-art, sul magnifico futuro che attendeva me e la mia moglie di
allora, un libro pieno di esaltazione, a mio parere abbastanza curioso, interessante, neanche ora lo rinnego del tutto, sebbene non l'abbia fatto ripubblicare da molto tempo. E lui fu l'unico ad apprezzarlo, lì non avevo altri conoscenti che si occupassero
di letteratura, lui, se ricordo bene, era uno studioso di Majakovskij…
— Sì, ma non solo…
— Sì, e lui in quell'occasione mi paragonò a Majakovskij, e mi incoraggiò pure, e neanche si trattava di un testo stampato, era solo una traduzione… anzi no, mi sbaglio,
era il testo russo, lui leggeva il russo… dopo, in America, sarebbe stato tradotto in inglese… lui era entusiasta, mi predisse un grande futuro, ricordo che lo andavo a trovare all'Università di Roma…
— Che anno era?
— Era il millenovecentosettanta… in ogni caso io ho vissuto in Italia dal novembre
del 1974 al 18 febbraio del 1975. Siamo partiti dall'Italia proprio nel giorno in cui Mara Cagol, se non sbaglio, ha liberato Renato Curcio, suo marito, dalla prigione, e all'inizio non ci facevano partire, noi dovevamo andare in America con un aereo della
Pan American e ci hanno fatto… hanno tirato fuori dall'aereo tutte le valige, le hanno messe sul campo di aviazione e ci hanno costretto a identificarle, questo me lo ricordo bene, e le mie valigie scoppiavano di libri, erano pesantissime, e le hanno
forzate e ci hanno guardato dentro per controllarne il contenuto.
Mi ricordo che una volta Ripellino mi aveva invitato a largii visita all'Università, e quando ero arrivato c'era una vera e
propria battaglia fra studenti e polizia, con tanto di lacrimogeni. In generale l'Italia di quel periodo era tutta in subbuglio, in giro si vedevano folle con le bandiere rosse e tutto questo mi piaceva, glielo confesso, poiché il mio temperamento è
proprio questo. E lì… era il momento di maggiore attività dei terroristi di destra e di sinistra, delle Brigate rosse, e di altri gruppi come Prima linea, ricordo quell'atmosfera, non avevo voglia di andarmene dall'Italia, ma purtroppo
fui costretto a farlo, perché l'Europa ufficialmente non dava asilo agli esuli politici russi, lo facevano solo l'America e il Canada, perciò dovetti partire. Ma i ricordi dell'Italia sono presenti in molti miei racconti.
— Sì, anche nel Libro dell'acqua…
— Sì, e c'è anche un intero romanzo dedicato
a Venezia: Smert' sovremennych geroev [La morte di eroi del nostro tempo ]. Mi piacerebbe che fosse pubblicato in Italia. Mi sembra che offra un bel ritratto di Venezia…
Questa intervista di Marco Dinelli con Eduard Limonov é del anno 2005.
----- ----- ----- ----- -----